“Mi raccomando, nessuna beatificazione!” aveva ammonito Nora, quando ci apprestavamo a scrivere la biografia di suo marito. Una messa in guardia tra il serio e il faceto più che azzeccata: il rischio di smarrire il distacco critico, di scivolare nell’agiografia, di ignorare le ombre, i chiaroscuri incombe realmente quando si cerca di ripercorrere la vita e di penetrare nel dedalo di idee, momenti e incontri che hanno segnato l’avventura umana e politica di Pietro Martinelli. La sua figura segaligna, la sua vivida curiosità sembrano comunque sfidare il tempo: oggi non avrà nessun affanno a spegnere le 90 candeline. Forma fisica invidiabile, capacità di analisi intatta. Ginnastica mattutina con regolarità calvinista, letture, partecipazione alla vita politica e intellettuale.
A un quarto di secolo dalla sua uscita dalla politica attiva (consigliere di Stato dal 1987 al 1999), Martinelli continua a suscitare ammirazione e non poca nostalgia, non solo nella sua area di riferimento, quella di sinistra. Il fondatore del Partito Socialista Autonomo (1969) è visto come un uomo tutto d’un pezzo, capace di conciliare militantismo e pragmatismo, passione e ragione. Pugno alzato sì, ma ben stretta nell’altra mano una macchinetta calcolatrice. Come dire: ideologia sì, demagogia no. Aspetto non del tutto gradito ai più movimentisti (Franco Cavalli più che un leader della sinistra radicale vede in lui un “gran commis d’Etat”, figura che rinvia soprattutto all’efficienza della macchina statale, molto meno alle barricate). Per i comunisti Doc, come suo cognato Norberto Crivelli, Martinelli era invece un po’ troppo “gauchiste”, figlio più della cultura sessantottina che dell’internazionale operaia. Vero che non esitava a manifestare contro l’invasione sovietica a Praga dopo avere sfilato contro la guerra americana in Vietnam.
Sull’altro fronte, lo storico binomio Pietro Martinelli – Werner Carobbio, aveva provocato qualche mal di pancia a chi intravedeva in questa costola ribelle uscita dal Pst un pericolo per la serenità, gli affari e la verecondia patria: “I rivoluzionari dal conto in banca”, aveva titolato il quotidiano ‘Il Dovere’ un articolo in cui si scagliava contro i “vigliacchi anonimi” che dalle colonne di Politica Nuova (giornale del Psa) si identificavano con i loro “caporioni” allo scopo di “abbattere il sistema”. Clima da feroce guerra fredda, con addentellato il “Berufsverbot”: sei di sinistra? Allora non ti diamo un lavoro. Semplice.
A farne le spese in molti tra cui lo stesso Martinelli, che proprio nel giorno del suo compleanno, il 6 febbraio del 1978, prese il volo per Conakry per esercitare la sua professione di ingegnere in Africa occidentale: era questo l’alto prezzo della coerenza. In precedenza, pur essendo stato eletto in Consiglio nazionale, in ossequio alle direttive del partito si era fatto da parte, lasciando il posto al subentrante e amicoWerner. Sacrificio coraggioso e, alla luce di quanto successo più tardi (elezione di Martinelli in governo nel 1987), vincente: visto dall’osservatorio attuale dove impera una politica basata sulle apparenze e sugli eccessi narcisistici, tutto questo sembra preistoria. Da uomo di Stato, per il suo pragmatismo e le capacità negoziali, Martinelli ha saputo conquistare un’invidiabile stima anche tra i suoi antagonisti politici, in primis la consigliera di Stato Marina Masoni con la quale era riuscito a raggiungere una sorta di “compromesso storico” in versione bonsai. Ancora oggi prevale negli interventi pubblici di Martinelli una visione che antepone la riflessione agli schieramenti preconcetti, la libertà di pensiero alle gabbie ideologiche. Così, facendo eco alla celebre presa di posizione di Enrico Berlinguer (meglio la Nato del Patto di Varsavia), non esita a ritenere una possibile vittoria russa in Ucraina come un pericolo vitale per il nostro mondo democratico. Qualsiasi accenno biografico non può esimersi dal contesto storico. Martinelli ha potuto beneficiare di una grande primavera della politica, in cui l’abilità dei tenori non aveva ancora lasciato il posto alla perniciosa banalità dei “social”. Ma ha pure potuto contare su una cerchia di amici, compagni, consiglieri di grande valore e cultura, da Christian Marazzi a Carla Agustoni, da Flora Ruchat a Virginio Pedroni fino al preziosissimo Giovanni Petazzi, senza dimenticare naturalmente il nome a cui è indissociabilmente legato il suo, Werner Carobbio. Nessun testo, forse, ricorda quegli anni di militanza meglio di quello vergato sotto forma di poesia dall’architetto Tita Carloni, apparso a mo’ di commiato nell’ultimo numero della lunga avventura di Politica Nuova: Sa regorduv qui sir in redaziun/che sa taiava giò ul fümm curtell / e i cavii in quatar per una decisiun / se l’articul l’è brütt o se l’è bell? / Al Snozz al disegnava i cupertin;/ al Tognola ga nava mai ben vüna / al Gall e ’l Martinell che i è gent fin / i rimetteva a post i fiöö in la cüna / E ’l Canonica (sü! dai che ’l temp al passa! / al vureva savé se ’l nos partii /l’eva da l’avanguardia o da la massa / Fin che a la vüna… o in là ’nca mò ’n quai zicch / dopo vé sistemaa crapp e giurnal / alWerner al vösdava i portacicch. Ricordare quel contesto baciato dalle circostanze e dalle persone, senza il quale Martinelli non avrebbe potuto conquistare tanto carisma, ci serve – speriamo – a evitare i rischi di santificazione paventati da Norma, sua moglie e compagna di vita: nessun San Pietro, dunque e neppure Pietro il Grande. Ma un uomo tutto d’un pezzo, sì. Da 90.
Articolo di Roberto Antonini, pubblicato sul LaRegione del 6 febbraio 2024.