Dopo il voto favorevole dei ticinesi sulle due iniziative popolari in materia di cassa malati del 28 settembre scorso, testi che sono diventati definitivi visto che non c’è stato, almeno a mia conoscenza, alcun ricorso al Tribunale federale, ora si tratterà di mettere in vigore quanto deciso. Sottolineo che la popolazione ha approvato precise norme legali della Legge di applicazione della legge federale sull’assicurazione malattie e della Legge tributaria, che permettono il calcolo al franco e al centesimo sia dei sussidi supplementari ai premi, sia delle nuove deduzioni fiscali; non c’è quindi bisogno di alcuna nuova norma di regolamento particolare per applicare quanto votato, semmai di qualche modifica di software e di qualche provvedimento organizzativo. La messa in vigore di una nuova legge o di una modifica di legge approvata dal Parlamento o dal popolo è un atto tecnico, non un atto politico, e dipende da questioni pratiche, non da considerazioni di altra natura.
Una volta messi a punto i meccanismi informatici e burocratici per i calcoli, cosa che non dovrebbe prendere più di qualche mese, il governo deve procedere in questo senso dando esecuzione a quanto deciso dal legislatore, in questo caso dal corpo elettorale. Certamente esiste un problema di finanziamento delle due scelte popolari, che peraltro i soli promotori dell’iniziativa 10% hanno trasparentemente riconosciuto prima del voto, adoperandosi anche a proporre i correttivi necessari, ma esso va risolto con un discorso del tutto separato da quello della messa in vigore dei testi legali approvati dal popolo. Già dai primi commenti del dopo voto alcuni hanno cercato di avvalorare la tesi secondo la quale, senza risolvere il nodo del finanziamento, la messa in vigore dei testi legali votati avrebbe dovuto attendere. Ma questa tesi è del tutto priva di fondamento, perché il governo, incaricato di mettere in vigore le nuove leggi o le modifiche di legge, non può trasformare la sua competenza di decidere la data di entrata in vigore in un diritto di veto sulle scelte del Legislativo o addirittura sul pronunciamento popolare.
Se si troverà un compromesso sul finanziamento delle due modifiche di legge bene, lo auspico vivamente, ma se non sarà così bisognerà registrare i disavanzi che esse produrranno fino a che si riuscirà a trovare una saggia maggioranza politica che sappia risolvere il problema finanziario. In ogni caso i testi approvati dal popolo andranno messi in vigore così come sono, senza ritardi ingiustificati. Non si dimentichi che ogni cittadino toccato da un simile ritardo ha diritto di rivolgersi alla giustizia affinché la legge regolarmente approvata venga applicata; sarebbe bene che non si debba arrivare a coinvolgere i tribunali in questa faccenda, che è politica e va risolta in sede politica, senza scappatoie o stranezze democratiche.
In attesa della messa in vigore dei testi legali usciti dalle urne e del dibattito separato sul loro finanziamento, sul fronte del sistema dei sussidi di cassa malattia non si può non registrare nel frattempo un’ulteriore stranezza (ma probabilmente bisognerebbe parlare di sfrontatezza). Nel Preventivo 2026, uscito nemmeno 24 ore dopo il voto popolare, è contenuta infatti una proposta di modifica della medesima Legge nella quale è stato introdotto dal popolo il principio del 10%, che va in direzione diametralmente opposta a quanto votato dai cittadini il giorno prima. Con nonchalance si propone infatti di introdurre un meccanismo che riduce per tutti le prestazioni, una specie di moltiplicatore al contrario che diminuisce già dal prossimo gennaio i parametri base per il calcolo dei sussidi del 2,82% e che soprattutto permetterà al governo in futuro di bloccarne l’adeguamento. Una proposta che va fermata subito, perché modifica già dal 2026 il sistema che il popolo, solo un giorno prima dell’uscita del Preventivo, ha confermato e voluto potenziare.
Il sistema della democrazia diretta si fonda sulla certezza dell’applicazione delle scelte popolari, senza ritardi o manipolazioni. Venir meno a questo principio sarebbe altamente pericoloso per una democrazia che si ritiene, non senza motivi, di essere una delle più avanzate al mondo.
Articolo di Manuele Bertoli, già consigliere di Stato, apparso il 6 novembre su LaRegione