La nostra storia, oltre a tante belle cose, ha già conosciuto in passato pagine oscure riguardanti scelte politiche disastrose nei confronti dell’infanzia. Come non ricordare i bambini ebrei rinviati con le loro famiglie oltre confine durante la seconda guerra mondiale. Come dimenticare i minori vittime di misure e collocamenti d’ufficio in istituto a scopo assistenziale avvenuti ancora fino a pochi decenni fa, perché poveri, illegittimi, perché considerati “difficili” o “ribelli” o per la precarietà della loro situazione familiare. Come ancora non ricordare i figli dei lavoratori stagionali, costretti a nascondersi per anni per poter stare accanto ai loro genitori, colpevoli solo di aver cercato un lavoro nel nostro Paese.
Di queste scelte, e di altre che per brevità qui non citerò, a posteriori ci siamo giustamente rammaricati, riconoscendo che le cose avrebbero dovuto andare in maniera diversa e che i diritti dei bambini avrebbero dovuto venire prima di tutto, prima delle considerazioni politiche o economiche.
Ma la lezione della storia non l’abbiamo ancora imparata fino in fondo, perché in parte, con modalità diverse ma purtroppo analoghe, questa stessa storia si sta ripetendo, e lo sta facendo adesso.
Un recente studio della Commissione federale della migrazione, di cui sono presidente, ha verificato che le condizioni di vita di una buona parte dei bambini e adolescenti che vivono solo grazie all’aiuto d’urgenza nel settore dell’asilo, quello destinato a chi deve lasciare il Paese perché la domanda d’asilo è stata rifiutata o non vi è stata entrata in materia, non sono accettabili. Nel 2022 il 70% delle famiglie con figli di età inferiore ai 18 anni che viveva in Svizzera riceveva l’aiuto d’urgenza da oltre un anno; un periodo lunghissimo, soprattutto per un bambino, per una condizione immaginata per un breve lasso di tempo che, se protratta, porta a un sostanziale maltrattamento. In questo limbo, tenuto conto anche delle differenze di applicazione cantonali, questi bambini sono trattati in modo peggiore anche rispetto agli altri bambini e minori vulnerabili per quanto riguarda l’alloggio, la presa a carico, la scuola, la salute e la gestione dei rischi per l’infanzia. Se fossero bambini e minori “ordinari”, il trattamento loro destinato comporterebbe normalmente una segnalazione all’autorità di protezione dei minori, ma siccome sono gli ultimi degli ultimi, questo non accade.
Per quanto riguarda l’alloggio, lo studio ha verificato che oltre un terzo delle famiglie vive in centri collettivi e che molte famiglie (in media 5 persone) vivono in questi luoghi in una sola stanza. Nei centri situati in zone discoste, situazione non rara, l’isolamento di questi bambini rispetto ai loro coetanei risulta ancora più accentuata.
A proposito della mancanza di presa a carico, lo studio ha messo in luce il problema della sottostimolazione dei bambini molto piccoli, che non vanno ancora a scuola, i quali di solito non hanno accesso a nessuna cura esterna e trascorrono l’intera giornata con i loro genitori, spesso negli alloggi collettivi; questa condizione rappresenta un rischio per il loro sviluppo. Per quanto riguarda la scuola, nelle regioni rurali del nostro Paese o nel caso di bambini che vivono negli alloggi collettivi accade che la scolarizzazione obbligatoria avvenga separatamente dalla scuola regolare, in maniera sistematica e prolungata, e che la formazione postobbligatoria venga sostanzialmente impedita.
Infine, per quanto riguarda la salute, sono state verificate lacune quanto alla tempestività delle visite pediatriche e al sostegno psicologico. Come detto le differenze tra i cantoni sono notevoli, ma nonostante ciò dallo studio emerge un dato chiaro: i bambini e i giovani interessati sono a rischio in termini di salute, sviluppo e benessere.
L’impostazione della legge attuale prevede che alle persone e alle famiglie che devono lasciare il Paese sia concesso solo l’aiuto d’urgenza, per non creare un “incentivo” a rimanere in Svizzera. Ma i bambini e i minori, che non hanno mai scelto nulla quanto al loro destino e che, come riconosciuto dalla legge e dalle convenzioni internazionali, necessitano di particolare protezione, non meritano di subire le conseguenze di questa politica restrittiva e delle decisioni degli adulti. Prima che richiedenti asilo o migranti, sono bambini, sono minori, e hanno esattamente i bisogni, e mi si permetta, anche i sogni, dei nostri figli.
Questa situazione va riconosciuta e radicalmente modificata ora, senza attendere tra qualche decennio un’ammissione tardiva di inadeguatezza, magari con annesse scuse e un po’ di soldi. Non stiamo parlando di un numero di bambini e di minori enorme (qualche centinaia, forse uno o due migliaia), ma di una piccola parte dell’infanzia che risiede in Svizzera e che non merita trattamenti al di sotto degli standard minimi di civiltà. La nostra Costituzione nazionale, nel suo preambolo, richiama il principio secondo il quale la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri: applichiamo questo principio anche ai bambini e ai minori che al territorio di questo popolo la storia o il caso hanno affidato almeno un pezzetto del loro già difficile cammino e mostriamo davvero questa nostra forza. È un atto di giustizia per loro, ma lo è anche per noi.
Articolo di Manuele Bertoli , già Consigliere di Stato, pubblicato su LaRegione del 14 ottobre