Sì al congedo paternità, no a più deduzioni per i figli

Senza contromisure, i ceti medio e medio-basso sono quelli che pagheranno maggiormente le conseguenze della crisi sociale ed economica a seguito della pandemia. Queste persone necessitano di aiuti concreti per contrastare l’erosione del reddito disponibile di molte economie domestiche. È quindi necessario agire sui costi fissi quali i premi di cassa malati e gli affitti. Inoltre, dal momento che il divario salariale complessivo tra donne e uomini è ancora considerevole, è indispensabile realizzare finalmente l’effettiva parità salariale e tutte quelle misure che permettono la conciliabilità tra famiglia e lavoro. Solo così sarà possibile garantire a molte più donne la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro percependo salari dignitosi e non assumendo impieghi precari. Affinché la cura dei figli non dissuada le coppie, di solito le mamme, dall’esercitare un’attività professionale, le strutture di assistenza all’infanzia devono essere sufficienti e con costi accessibili.

Il 27 settembre il popolo svizzero sarà chiamato a esprimersi su due oggetti inerenti alla politica familiare. Da un lato, il congedo paternità di due settimane, assolutamente urgente e necessario e che deve essere visto come un primo passo verso un congedo parentale. Dall’altro, la revisione della legge sull’Imposta federale diretta per aumentare le deduzioni fiscali per i figli; che di sostegno alla famiglia ha solo il nome. Dietro questa proposta di legge si nascondono in realtà sgravi fiscali a favore di chi meno ne ha bisogno. La maggioranza del Parlamento ha infatti deciso di aumentare le deduzioni per i figli nell’ambito dell’Imposta federale diretta, passando da 6.500 franchi a 10.000 franchi per figlio. Ciò che apparentemente può sembrare una buona cosa in realtà è un vero e proprio imbroglio fiscale a spese del ceto medio: se una coppia con due figli e un reddito lordo di 500.000 franchi risparmierà 910 franchi all’anno, una coppia sempre con due figli e un reddito lordo di 110.000 franchi non risparmierà nulla. Inoltre, oltre il 40% delle coppie con figli non paga l’Imposta federale diretta e quindi non avrà nessun beneficio, mentre quasi esclusivamente le famiglie con un reddito elevato, che rappresentano solo il 6% di tutte le economie domestiche, beneficeranno di questa nuova deduzione per i figli. I costi in più a causa di questa operazione sono 370 milioni di franchi, che mancheranno nelle casse della Confederazione e dei Cantoni per attuare una vera e propria politica a favore della classe media e medio-bassa.

In Svizzera più di mezzo milione delle lavoratrici e dei lavoratori, cioè il 10% della forza lavoro, guadagna meno di 4.200 franchi. In Ticino questa percentuale è ancora maggiore. Inoltre la metà delle donne riceve uno stipendio mensile lordo inferiore a 4.330 franchi al mese, mentre un quarto di tutte le donne riceve addirittura poco meno di 2.600 franchi al mese. Dal momento che molte donne lavorano a tempo parziale, il loro reddito è ancora significativamente più basso. Per contrastare l’erosione del reddito e per una politica familiare degna di questo nome ci vogliono non solo la volontà politica ma anche le risorse finanziarie necessarie a sostenere strutture per conciliare famiglia e lavoro, ridurre le rette degli asili nido e aumentare gli aiuti alla riduzione dei premi di cassa malati. Ecco perché diminuire le entrate di Confederazione e Cantoni con sgravi a favore dei più benestanti è sbagliato e per nulla lungimirante. Se attuata, questa politica porterebbe alla riduzione dei mezzi a disposizione per politiche sociali e andrebbe a colpire proprio coloro che dovrebbero invece essere maggiormente sostenuti. Il popolo svizzero avrà la possibilità di dire la sua e fare un passo concreto per la politica familiare votando sì al congedo parentale e no a sgravi fiscali iniqui.

Articolo di Marina Carobbio, apparso sul Corriere del Ticino il 29 agosto

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