Sì a più tempo per il personale curante

Sì all’iniziativa per cure sociosanitarie e prestazioni socioeducative di qualità, perché la premessa indispensabile per delle cure di buona qualità è poter dedicarvi il tempo necessario.

Vi faccio un esempio: le lesioni da decubito. Tutto l’equipaggiamento tecnico non serve a niente, se non viene impiegato il tempo necessario per gli indispensabili frequenti cambiamenti di posizione del paziente.

Sappiamo che è fondamentale per il personale curante, per lavorare come dovrebbe e vorrebbe, avere abbastanza tempo. Questo si traduce nella relazione curante:paziente. Ideale sarebbe un rapporto (ratio) di 1:4, cioè una persona curante per quattro pazienti, quando in Ticino ci troviamo con una ratio 1:6 oppure addirittura 1:7. Poter lavorare con una ratio favorevole, viene giudicato dal personale curante più importante dell’ammontare del suo salario, pur molto modesto nel confronto con altri mestieri molto meno esigenti e anche nel contesto internazionale. Se a questo aggiungiamo turni notturni, festivi e di sostituzione – sempre più frequenti questi ultimi in un clima di lavoro che causa varie malattie e incidenti – non dobbiamo meravigliarci che tanto/troppo personale curante abbandoni il suo lavoro troppo presto.

Non può essere la soluzione di formare semplicemente più personale nuovo e trascurare le cause dell’abbandono precoce di personale formato e con esperienza. Sarebbe come versare dell’acqua in una brocca che perde, senza voler colmarne le fonti di perdita.

Da importanti studi sappiamo inoltre che con una ratio favorevole a personale curante e pazienti si evitano molto errori di cura, compresi quelli fatali, che oltre a tanta sofferenza causano anche tanti costi supplementari, compresi quelli per gli avvocati ed i risarcimenti. Inoltre si è potuto dimostrare che una struttura sanitaria con un ratio di 1:4 alla lunga genera meno costi complessivi che una con una ratio di 1:6.

Per permettere al personale curante di lavorare meglio, occorre reclutare più personale – compito non facile – e anche pagarlo. Più tempo per le cure si traduce in necessità di più soldi. Ma anche qui vale il principio che se vogliamo risparmiare dobbiamo investire. Come diceva il prof. Sommer, economo della sanità dell’Università di Basilea, di certo non in odore di bolscevico: “Darf denn schpaare eppis koschte?” (Risparmiare può/deve costare qualcosa?). Se vogliamo fermare “la fuga del personale curante”, dobbiamo investire nelle cure.

Tutte e tutti un giorno possiamo diventare vecch* e malat* (questo non ve lo auguro!). Decidiamo adesso come vorremmo essere curat*, diamo alle cure i mezzi necessari – applaudire non basta! Ricordiamoci pure che una società si giudica da come tratta i suoi membri più deboli – e chi si prende cura di loro, mi piace sempre aggiungere.

Votiamo allora “sì” a questa iniziativa popolare quadro, che dà l’incarico al Consiglio di Stato di concretizzarla nei diversi settori del variegato mondo sociosanitario e socioeducativo, sottolineando anche l’importanza dovuta ai diritti di pazienti e familiari.

Articolo di Beppe Savary apparso su La Regione il 5 marzo

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