Responsabili, chi?

Il dibattito su entrambe le votazioni del 29 novembre mette al centro la questione della responsabilità. I valori promossi sono condivisi apparentemente da tutti, ma i contrari ci dicono che non è corretto caricare di tutte le responsabilità le aziende. Ma se non loro, chi? Ancora una volta unicamente i cittadini? L’esasperazione della responsabilità individuale non mi ha mai convinto. Soprattutto quando mi si vuol fare credere che tutto sia in mano alla possibilità di scelta in quanto consumatori che cercano di essere coerenti con i propri valori: “Questa volta le padelle della ditta che ha salvato migliaia di perseguitati ebrei 80 anni fa le compro per davvero. Costano un bel po’ in più di quest’altre, ma è un bel gesto, dai. Ma il nome è proprio questo? Ho visto una volta un documentario, ma adesso non mi ricordo più bene. Oh mama! La cioccolata di quella marca, però assolutamente no: mi sembra di aver letto che il fondatore, 200 anni fa, fosse implicato con il commercio di schiavi. Questi biscotti poi hanno l’olio di palma e quindi non se ne parla; meglio quelli con l’olio di cocco (sigh!). Le banane, prendo quelle con il logo del Wwf o di Max Havelaar? Oh mama! Queste batterie sono al litio, chi mi dice che la materia prima non sia stata raccolta sfruttando i bambini del Congo? Meglio quelle al cobalto, costano di più e quindi saranno sicuramente più etiche. O le miniere in Congo con i bambini sono di cobalto? Oh mama! Aspetta, la benzina di quella marca mi sembra utilizzi petrolio azero, non va bene; quell’altra con il petrolio libico nemmeno; questi altri inquinano il mare del nord: meglio passare ad un’auto elettrica. Oh mama!… le batterie al litio!”. Il concetto di responsabilità presuppone almeno due prerequisiti: disporre della conoscenza necessaria per poter effettuare delle scelte etiche in libertà. Conoscenza e libertà: due questioni alquanto complesse. Se applichiamo queste riflessioni al contesto dell’iniziativa per multinazionali responsabili, emergono tuttavia due evidenze. La prima è che la libertà di scelta del proprio stile di vita e di cosa acquistare o meno è condizionata perlomeno anche dalla propria disponibilità economica: i ricchi possono sicuramente scegliere più liberamente dei poveri. In secondo luogo, nella complessità odierna è illusorio pensare di disporre sempre di tutte le necessarie informazioni e conoscenze per poter effettuare delle scelte consapevoli e coerenti. La responsabilità è in realtà un fatto collettivo: significa rendere conto agli altri delle proprie azioni. Per questo motivo è utile che la collettività si protegga e responsabilizzi le aziende che sanno di essere direttamente o indirettamente causa di sofferenza, ingiustizia, soprusi, distruzione dell’ambiente. Solo chi dispone veramente delle informazioni che si celano dietro ad un proprio prodotto o attività economica, può e deve avere la responsabilità etica di agire. Basta colpevolizzare i cittadini buttandoci addosso delle responsabilità individuali che non possiamo in realtà esercitare: è il momento di mettere di fronte alle proprie responsabilità le multinazionali che sanno di non rispettare le nostre leggi in altri Paesi e premiare le multinazionali eticamente corrette. È il momento anche di regolare maggiormente il commercio di armi: se finanzio grano, ricavo pane; se finanzio matite, ricavo disegni; se finanzio musica, ricavo balli; se finanzio armi, ricavo morte (cit.). L’unica responsabilità individuale che possiamo esercitare con cognizione di causa è quindi, a mio parere, quella di votare due sì il 29 novembre per dare più forza e legittimità alla responsabilità collettiva.

Articolo di Danilo Forini, apparso su La Regione il 18 novembre

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