Quei trecento milioni e la ‘giravolta’

È scontato dirlo, ma il tema premi di cassa malati è la preoccupazione maggiore degli svizzeri e ancor più dei ticinesi. È dunque logico che domini il dibattito politico. Il Ps porta al voto l’iniziativa cosiddetta “10%” (ognuno paghi al massimo il dieci per cento del proprio reddito disponibile). Pare elementare: nel cantone più colpito dagli aumenti dei premi e dai bassi salari si interviene a favore delle fasce più toccate, quelle dai guadagni medi e medio-bassi, che oggi non hanno accesso alla riduzione del premio (Ripam). L’iniziativa costerebbe 300 milioni e subito si è alzato il coro scandalizzato di chi dipinge le finanze cantonali come un inferno in terra che sta bruciando il Paese in un fuoco eterno. Un fatto è certo, quei 300 milioni oggi qualcuno li paga: sono le persone che devono sborsare cinque-seicento franchi al mese a testa per i premi, soldi che incidono pesantemente sul bilancio familiare di chi ha stipendi, diciamo così, normali e che fa sempre più fatica. Andare loro incontro significa certo investire soldi pubblici, ma anche liberare risorse economiche per queste persone e famiglie. Per farlo si può anche rompere un tabù: quello dell’aumento delle tasse. Facendo due conti (gli avversari diranno “della serva”, ma, come diceva Totò, “la serva serve”), la classe media e medio-bassa ci guadagnerebbe nel cambio. Le tasse che pagherebbero in più sarebbero comunque minori di quanto risparmierebbero sui premi di cassa malati. Le imposte sono basate su un meccanismo semplice, chi più guadagna più paga e dunque chi ha guadagni alti o altissimi griderebbe allo scandalo. O meglio griderebbero allo scandalo i difensori politici di queste categorie, anche se a parole si dichiarano alfieri del ceto medio. Poi ci sono i sussidi che la maggioranza del parlamento ha proposto di tagliare per il secondo anno consecutivo. E per il secondo anno consecutivo la pressione di chi non ne può più si è fatta sentire. L’anno scorso è stata la mobilitazione di piazza, quest’anno il referendum che ha raccolto undicimila firme. Sono dieci milioni che fanno malissimo a migliaia di persone e famiglie, molto meno alle casse dello Stato. Adesso il Centro (sulla pressione delle undicimila firme e complici gli utili della Banca nazionale) ha deciso – in netto ritardo, ma meglio tardi che mai – che forse, magari, una misura così pesante per chi è in difficoltà non si giustifica. L’hanno chiamata “giravolta”, perché i fautori del taglio usano lo stesso argomento di sempre: i soldi della Banca nazionale devono servire al rilancio economico (sic), abbiamo bisogno di misure strutturali (sic). Dimenticano che chi spende meno in premi di cassa malati, può consumare di più e di solito le persone normali consumano in loco e non investendo in criptovalute o in lucrosi asset finanziari. Raccogliere firme per il referendum è stato abbastanza facile, posso testimoniare che alle bancarelle a cui ho partecipato la gente veniva spontaneamente a firmare. È per loro che bisognerà vincere queste battaglie, prima in parlamento e poi, se sarà necessario, alle urne.

Articolo di Maurizio Canetta, Granconsigliere, pubblicato su laRegione il 19 febbraio

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