Il prezioso insegnamento del Professor Samuel Paty

L’uccisione di Samuel Paty, il professore di storia e geografia francese colpevole agli occhi del suo folle carnefice di aver trattato il delicato tema della libertà di espressione in maniera irrispettosa di una concezione quantomeno arcaica della religione, ci ricorda che le conquiste di libertà non sono acquisite per sempre, nemmeno là dove sono nate oltre duecento anni fa. Ancora oggi in tanti luoghi di questo nostro pianeta le libertà fondamentali non sono mai state moneta corrente, ma non sono poche e non sono da banalizzare le tendenze a ridurle o negarle che arrivano anche da noi, proposte da ideologie o concezioni fondamentalmente dispotiche, oscurantiste o semplicemente poco democratiche.

Samuel Paty è diventato un simbolo, per quel che ha fatto e anche per averlo fatto senza timore per anni nel luogo deputato a forgiare le coscienze degli adulti di domani, la scuola. Sarebbe stato facile autocensurarsi o non «esporsi», ma lui, come tanti altri, ha deciso di non farlo, pur in un contesto non facile, perché credeva nella propria professione.

Per onorare questa sua testimonianza tragica e evidentemente involontaria è necessario ribadire con forza la vicinanza di tutta la collettività agli insegnanti che ogni giorno trattano queste questioni con i loro allievi, con professionalità, cercando di far capire loro l’enorme valore delle libertà fondamentali, tra cui la libertà di espressione, il non facile distinguo tra libertà di espressione e insulto, diffamazione o calunnia, rispettivamente il confine tra essere liberi di pensare quel che si vuole e dovere di astenersi dal raccontare le cosiddette «verità alternative», che con la verità non hanno nulla a che spartire, anzi la mortificano.

Naturalmente l’insegnamento deve essere oggettivo e pluralista, se qualcosa non dovesse funzionare a questo proposito vi sono da sempre sedi e istanze preposte a valutare le cose che eventualmente non vanno, ma sia l’insegnamento della storia sia quello dell’educazione civica, alla cittadinanza e alla democrazia devono avere quali punti di riferimento la conoscenza scientifica e il rispetto di alcune semplici regole fondamentali del dibattito democratico. I fatti storici non sono opinabili ed è bene che la ricerca scientifica insista sempre nel ricontestualizzarli, evitando che essi siano appannaggio dei vincitori del momento; allo stesso modo non tutte le argomentazioni pro o contro in un dibattito politico hanno lo stesso peso.

Se vale sempre il principio attribuito pare erroneamente a Voltaire secondo cui anche se non si approva quel che dice l’altro va difeso il suo diritto a dirlo, altrettanto deve sempre valere il principio secondo cui la libertà d’espressione si ferma davanti agli insulti e alle corbellerie, non tutto è legittimamente esprimibile solo perché è stato liberamente pensato da qualcuno. «Tu la pensi così e io la penso altrimenti» non è un’affermazione ammissibile se riferita ad un fatto, che ha una sola realtà oggettiva; può semmai valere per l’interpretazione del valore, della gravità o delle conseguenze del fatto oggettivo, ma si tratta di un’altra cosa.

La democrazia, la conoscenza scientifica, la ricerca di un codice comune di convivenza nel contesto di una collettività di uomini liberi ci impone di dire chiaramente e a voce alta che certi valori non sono negoziabili e che chi li insegna nella scuola alle giovani generazioni va difeso, perché così facendo difendiamo la convivenza democratica faticosamente conquistata da chi ci ha preceduto, da lasciare in eredità preservata e intatta a chi verrà dopo di noi.

Articolo di Manuele Bertoli, apparso sul Corriere del Ticino del 24 ottobre 2020

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