Negli scorsi giorni è stato pubblicato il Monitoraggio della situazione socioeconomica della popolazione redatto dall’Ufficio Cantonale di Statistica. Dai dati presentati in Ticino risulta esserci un importante tasso di povertà assoluta, pari all’8% della popolazione di riferimento, mentre quella relativa ammonta al 12,3% colpendo quindi oltre un sesto della popolazione ticinese. Una situazione, quella della povertà, che colpisce indistintamente tutte le fasce di età della popolazione.

Per quanto riguarda la povertà assoluta per il 2015, anno di riferimento, si tratta di 22’000 persone su una popolazione campione di 250’000 residenti. Per definire la soglia di povertà assoluta sono stati presi i valori di riferimento del minimo vitale definito dalla Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale, adottati anche dalle direttive cantonali sull’assistenza sociale.

Nel calcolo del reddito disponibile, usato per definire se un’economia domestica è al di sotto della soglia di povertà, sono stati inclusi gli aiuti sociali di cui il nucleo familiare è a beneficio. Se un’economia domestica, esclusa la popolazione anziana, ha il reddito disponibile inferiore alle soglie di povertà questa ha accesso all’assistenza sociale, mentre per quanto riguarda le persone al beneficio dell’Avs/Ai, queste hanno accesso alle Prestazioni complementari che riconoscono degli importi superiori a quelli dell’assistenza. Detto altrimenti, grazie alle Prestazioni complementari, nessuna persona a beneficio dell’Avs/Ai dovrebbe ritrovarsi in una situazione di povertà assoluta. Qualcosa però non quadra. Infatti, guardando le fasce di età, lo studio indica che ci sono circa 16’000 persone sotto i 64 anni, e rispettivamente 6’000 persone sopra i 64 anni, in stato di povertà assoluta.

Prendendo i dati effettivi in Ticino nel 2015 c’erano complessivamente 7’000 persone a beneficio dell’assistenza. Questo significa che 9’000 persone al di sotto dei 64 anni pur vivendo in uno stato di povertà assoluta non hanno avuto accesso o non hanno richiesto l’assistenza. Perché? In che modo queste economie domestiche riescono a far fronte alle spese e quindi ad arrivare alla fine del mese senza indebitarsi? Per quanto riguarda le persone sopra i 64 anni, la domanda da porsi è come mai, nonostante la presenza delle Prestazioni complementari, volute per scongiurare la povertà in vecchiaia, ci siano 6’000 persone al di sotto di questa soglia. Domande che è lecito porsi e a cui va data al più presto una risposta. L’aiuto sociale deve arrivare a tutte le persone che ne hanno bisogno. Si tratta infatti di un diritto che non solo è garantito dalla legge ma che è anche il diritto ad una vita dignitosa (ammesso che le attuali soglie dell’assistenza lo permettano, cosa che ci permettiamo di mettere in discussione). Domande che si sono sicuramente posti anche gli autori dello studio e che sicuramente si porrà il Dipartimento della Sanità e Socialità. Ma dove potrebbe stare il problema? Nella difficoltà burocratica per la richiesta degli aiuti? Nella difficoltà personale, legata alla vergogna, nel chiedere aiuto in un momento di difficoltà? O forse invece in un’informazione non sufficientemente capillare che porta a una non conoscenza degli aiuti sociali esistenti? Un altro elemento che potrebbe concorrere a questa situazione è il periodo di attesa, che a volte potrebbe durare qualche mese, durante i quali la persona non riceve aiuti rischiando di peggiorare ulteriormente la propria situazione economica. Insomma i dati pubblicati sono allarmanti, al di là del numero impressionante di persone in povertà assoluta e relativa, in discussione è l’efficacia stessa della rete sociale che potrebbe non essere più adeguata ad affrontare il crescente fenomeno delle disuguaglianze e della povertà. È necessario capire per poter intervenire al più presto.

Articolo di Ivo Durisch, apparso su La Regione il 12 febbraio

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