Il 24 giugno scorso, Mister prezzi ha imposto una riduzione delle commissioni sui pagamenti digitali di piccolo importo, sotto i 15 franchi. Un primo passo, ma il problema è molto più ampio.
In Svizzera, ogni volta che paghiamo con carta o app, una quota del prezzo finisce nelle casse di Visa, Mastercard, Worldline o TWINT.
Può sembrare poco, ma sommando tutte le transazioni il conto è pesante: oltre 2 miliardi di franchi all’anno in commissioni versate dai commercianti – spesso piccoli negozi, ristoranti, artigiani – indirettamente pagate da tutti noi con prezzi più alti o assunte da chi lavora sul territorio con margini sempre più stretti.
Gran parte di questi profitti prende la via dell’estero e sfugge al fisco svizzero, perché Visa e Mastercard hanno sede in Paesi come USA o Irlanda, con strategie fiscali ben oliate. Anche TWINT, pur essendo «svizzera», è controllata dalle grandi banche e beneficia ancora del regime fiscale agevolato riservato alle start-up.
Altrove si fa diversamente. Il Brasile ha creato Pix, un sistema di pagamento pubblico e gratuito per utenti e commercianti. L’India ha sviluppato UPI, anch’esso gratuito e ormai adottato anche da Paesi terzi come Emirati Arabi, Mauritius e Francia. La Cina, pur con qualche contraddizione, ha costruito reti nazionali a basso costo (UnionPay, Alipay, WeChat Pay) e promuove circuiti alternativi come BRICS Pay e CIPS. Tutti e tre fanno parte dei BRICS – l’organizzazione che raggruppa i Paesi emergenti, rappresentando il 36% del PIL mondiale (contro il 29% dei paesi del G7) – e mostrano che un’altra via è possibile. Se Brasile, India e Cina riescono a offrire pagamenti digitali efficienti e quasi gratuiti, perché la Svizzera no? La risposta è fin troppo ovvia: siamo il Paese delle banche. Qui i pagamenti elettronici non sono considerati un’infrastruttura pubblica, ma un’opportunità di profitto lasciata in balia degli appetiti privati.
Paradossalmente, le iniziative per salvare il denaro contante, pur anacronistiche, hanno almeno il merito di sollevare il tema: serve un’alternativa pubblica anche per il digitale. Un sistema senza scopo di lucro, con gestione democratica, gratuito o a commissioni minime e utili che restano in Svizzera.
Articolo di Francesco Albi apparso sul Corriere del Ticino il 5 luglio