Per l’imposta minima applicazione deludente

Dal 1980 le aliquote fiscali per le imprese nel mondo si sono complessivamente più che dimezzate. La concorrenza fiscale tra le nazioni e al loro interno ha permesso alle aziende più mobili di approfittare di questa «guerra» delle aliquote tra Paesi, regioni e Comuni, con il risultato che molti soldi non sono finiti in politiche pubbliche, decise democraticamente, ma in investimenti privati, spesso speculativi, poi all’origine di dissesti finanziari, crisi più o meno sistemiche di varia natura e conseguentemente guai per nazioni più fragili e per gran parte dei cittadini.

Paradossalmente sono stati l’OCSE e il G20, non l’unione mondiale dei socialisti, ad adoperarsi affinché per i grandi gruppi di imprese si giungesse ad un’aliquota minima internazionale del 15%. Una scelta saggia, che prova in maniera inequivocabile come la concorrenza fiscale tra i poteri pubblici sia un cancro che non va bene per nessuno, nemmeno per le organizzazioni legate intimamente all’or dine economico mondiale attuale.

Il 18 giugno si andrà a votare sull’applicazione svizzera di questa norma.

Tutto bene quindi?

Purtroppo no. Per ragioni di spazio mi concentrerò su un solo argomento che a me è parso da subito francamente impresentabile, ovvero l’applicazione del nuovo principio dell’aliquota minima ai soli grandi gruppi di imprese e non a tutte le aziende. Possibile che il segnale arrivato dall’OCSE non poteva essere colto fino in fondo, dicendo a tutte le aziende, di qualsiasi tipo, che nel nostro Paese sotto il 15% globale di imposizione non si va?

Pur apprezzando molto il concetto di imposizione minima per le grandi aziende, voterò no a questa riforma, perché essa potrebbe e dovrebbe essere applicata da noi in maniera più razionale, rispettando il principio della parità di trattamento riconosciuto dalla Costituzione svizzera.

Una Costituzione che purtroppo una maggioranza vorrebbe violentare, perché si prevede con questa votazione popolare di iscrivervi un’imbarazzante eccezione (nuovo articolo 129a), la quale dirà esplicitamente che in campo tributario quello che in futuro varrà per le multinazionali non varrà per le altre aziende.

Non mi faccio illusioni, non sono tanto ingenuo da immaginare che improvvisamente la popolazione sappia per una volta badare ai propri interessi, senza cedere alle sirene di chi ripete da molti anni la litania del meno Stato. Constato che l’occasione di ripristinare un po’ di giustizia fiscale e di investire soldi preziosi nell’innovazione e nella coesione sociale era a portata di mano, addirittura senza sforzi particolari, ma l’impostazione ideologica dominante non ha saputo cogliere al volo il momento, nemmeno sotto l’impulso di organizzazioni come l’OCSE e il G20, dimostrando che su questi temi il nostro Paese è molto lontano dal rendersi conto di quanto ingiusta sia la distribuzione della ricchezza che lo contraddistingue.

Manuele Bertoli, già Consigliere di Stato

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