Come spesso gli accade, Michele Serra ha saputo catturare con un’efficace espressione il senso della congerie di violente polemiche che ruotano attorno alle iniziative legate al Giorno della Memoria, a causa del conflitto israelo-palestinese: ha scritto sul quotidiano Rebubblica di un “passato ostaggio del presente […] come se il presente impedisse di raccogliersi in silenzio e in concordia attorno a una delle massime tragedie della storia”. Si riferiva, in particolare, agli ignobili attacchi subiti anche in questi giorni da Liliana Segre, accusata con toni aggressivi e insultanti di essere insensibile alle sofferenze del popolo palestinese, ma pure al rifiuto da parte della comunità ebraica di Milano di aderire a una manifestazione ufficiale in ricordo della Shoah, perché sostenuta da associazioni, come L’Associazione nazionale dei partigiani, ritenute troppo filopalestinesi. La polemica riguardante il concerto tenuto giovedì scorso al Lac di Lugano dall’Orchestra filarmonica israeliana, inserito nell’ambito delle manifestazioni legate al Giorno della Memoria, ha riproposto anche da noi la questione. Intendiamoci, tenere fuori la politica, anche quella attuale, quando si tratta di riflettere su un evento storico che proprio dalla politica, dalla peggiore politica, è stato prodotto, è impresa non solo ardua, ma ingiustificata. L’antisemitismo ha una lunghissima storia, soprattutto nella sua versione religiosa, ma alla fine dell’Ottocento è divenuto un fenomeno esplicitamente politico, con la nascita di movimenti e partititi che individuavano negli ebrei il loro principale nemico. Ma riconoscere la dimensione chiaramente politica del Giorno della Memoria non implica che si indebolisca quel vasto consenso di cui dovrebbe godere la condanna morale di quelle vicende, condanna alla base dell’Europa democratica uscita dalla Seconda guerra mondiale.
Toni di inaccettabile faziosità
Purtroppo, invece, lo scontro ha assunto, nel tesissimo contesto attuale, toni di inaccettabile faziosità. Ecco allora che la manifestazione contro la presenza dell’orchestra israeliana tenutasi davanti al Lac è stata definita dall’Associazione Svizzera-Israele (Asi) un “atto vile e indegno”, mentre, sull’altro fronte, la presenza del sindaco socialista di Bellinzona al concerto è stata esposta dal Partito comunista e dal Movimento per il socialismo al pubblico ludibrio, in quanto l’interessato sarebbe “ammiratore da sempre delle gesta sioniste”. Eccola qui la faziosità del presente che sequestra la riflessione sul passato. Che Branda andasse pur sempre a una commemorazione della Shoah e non a un comizio di Netanyahu non fa alcune differenza per i suoi accusatori; e che i manifestanti pro-Palestina non contestassero l’opportunità di ricordare quella tragedia, ma la presenza di un’istituzione pubblica israeliana – un’orchestra che rivendica legittimamente la sua stretta connessione con la vicenda dello Stato di Israele, attualmente sotto accusa per crimini contro l’umanità – non sembra degno di nessuna considerazione.
Dreyfuss e Zola si rivolteranno nella tomba
In passato ho partecipato ad alcune manifestazioni organizzate dall’Asi in occasione del Giorno della Memoria, trovandole sempre interessanti e ben impostate. Non posso però negare di essere stato un po’ colpito, quando arrivava la parte riservata ai discorsi ufficiali, dalla presenza prevalente di esponenti della destra nostrana: era difficile per me non pensare, ad esempio, che quegli atteggiamenti di chiusura nei confronti dei profughi ebrei prima e durante la guerra mondiale si ritrovavano nell’ostilità verso i profughi di oggi, costantemente rinfocolata dalle destre. La terribile immagine pubblicata con orgoglio qualche giorno fa nel sito della Casa Bianca, in cui una fila di immigrati irregolari in catene si avvia verso l’aereo per essere “deportata”, evoca ricordi angosciosi: fra l’altro, il velivolo è un aereo cargo, perché di un aeroplano per passeggeri i profughi non sono degni, come gli ebrei deportati non lo erano di carrozze ferroviarie, ma solo di sudici e angusti carri merci. Sappiamo che il sostegno della destra, anche radicale, a Israele a guida Netanyahu è cresciuto in questi anni, perché quel Paese è considerato un utile argine all’espansione dell’Islam e in forza dell’attrazione per uno Stato combattivo e sempre più chiuso nella propria identità nazionale e religiosa: il povero capitano Dreyfuss, e lo scrittore Zola che lo difese, si rivolteranno nella tomba. Ma nonostante queste perplessità, ritenevo, credo giustamente, che l’importanza del motivo di quelle manifestazioni prevalesse su tutto il resto.
Prevedibili polemiche
Questa volta, invece, al concerto di giovedì al Lac non sono andato, perché credevo che la presenza in questo momento di un così evidente simbolo dello Stato di Israele non potesse certo contribuire a tenere il Giorno della Memoria al riparo da prevedibili polemiche, giustificate o meno che fossero. Non ho neppure partecipato alla manifestazione di protesta, perché temo sempre che il confine fra giusta critica a Israele e antisemitismo, concettualmente netto, nella pratica finisca troppe volte per sfumare, il che, di fronte a un’iniziativa per ricordare lo sterminio degli ebrei, sarebbe stato ancora più grave. Forse senza l’Olocausto il sionismo non avrebbe avuto il peso che ha avuto e lo Stato di Israele non sarebbe mai nato, e dunque è impossibile separare le due vicende. Ma, nonostante ciò, si può evitare di confonderle a bella posta: occorrerebbe che da tutte le parti, a cominciare da un’istituzione pubblica come il Lac, si compisse uno sforzo per fare del ricordo della tragedia di allora non un momento di divisione, ma di riflessione. Per questo, associare immediatamente l’interpretazione del significato di quegli eventi alla vicenda del sionismo, da sempre controversa, e così creare le condizioni per lo scontro fra gli amici di Israele e quelli dei palestinesi, non favorisce la riflessione su quelle terribili vicende e sulla lezione che dovremmo trarne.
È paradossale che in occasione del ricordo di quei fatti, così legati alla storia europea, si discuta più dell’attuale situazione mediorientale che del nostro passato e soprattutto del nostro futuro, più di sionismo e antisionismo che di fascismo e antifascismo, nazionalismo ed europeismo. Invece, proprio in questi nodi problematici stanno le radici della barbarie di allora e della regressione di oggi.
Articolo di Virginio Pedroni, apparso su La Regione il 28 gennaio