Pandemia, ora ci vuole un’imposta di solidarietà

L’insidiosa pandemia ha fermato buona parte delle attività economiche, sociali e personali per salvaguardare la salute della popolazione, ma soprattutto degli anziani. Il costo complessivo per Confederazione e Cantoni ammonterà a 60-70 miliardi, come ha detto, recentemente, il consigliere federale Ueli Maurer a Zurigo. Solo alcuni decenni fa un milione di franchi era una cifra grande, adesso si parla con disinvoltura di miliardi. Tuttavia il debito supplementare in seguito alla COVID è un importo con dieci zeri, una cifra inimmaginabile per un normale cittadino.

La cosa scioccante: quasi nessuno parla di un rialzo delle imposte, men che meno il ministro delle Finanze Ueli Maurer che tuttavia si preoccupa del peggioramento delle finanze della Confederazione. Ma dove si nasconde la solidarietà che viene citata più volte nella nostra pregevole Costituzione? Nel preambolo si legge: «Consci (…) che la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri», e i più deboli della nostra società hanno sofferto maggiormente della pandemia, tra cui i giovani in formazione e i bambini di famiglie monoparentali o di genitori che hanno perso il lavoro.

Questo è un valido motivo per cui le persone con un certo patrimonio potrebbero e dovrebbero, senza soffrire ristrettezze , contribuire a coprire gli ingenti costi della pandemia per un periodo di, forse, cinque anni, così che i giovani e la prossima generazione non vengano penalizzati dai costi di questa epidemia. Si potrebbe ipotizzare che già da una sostanza imponibile di uno o due milioni di franchi ogni contribuente debba pagare un’imposta di crisi temporanea, per esempio dello 0,5 per mille: sarebbero, per chi possiede due milioni, mille franchi all’anno, per un periodo limitato. Dai 10 milioni in su si potrebbe poi chiedere l’uno per mille.

Sono dell’avviso che si debbano tassare, modestamente, anche i patrimoni relativamente bassi, affinché una buona parte della popolazione, tra cui molte persone che votano per la sinistra o per i Verdi, possano esercitare la loro solidarietà con le persone meno fortunate. Questa così detta «imposta di crisi» è tanto più necessaria poiché il divario tra ricchi e poveri è ulteriormente cresciuto durante il periodo della pandemia, ed era già troppo elevato prima dell’epidemia. Ovviamente tocca ai politici discutere e stabilire la soglia da cui pagare l’imposta di crisi e la sua incidenza. Sono però persuaso che, in questo periodo di effettiva crisi economica, sociale ed individuale, mai vissuto nel dopoguerra, un atto forte di solidarietà s’imponga. Tra i privilegiati siamo anche noi anziani in buona salute con una pensione dignitosa oltre all’AVS. Non abbiamo l’affanno di perdere il lavoro e possiamo permetterci di essere solidali.

Beat Allenbach, Torricella

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