Lo Spazio economico europeo (30 anni dopo)

Il 6 dicembre 1992 il popolo svizzero (insomma: il 50,3% delle elettrici e degli elettori) ha rifiutato di aderire allo Spazio economico europeo. Sono passati trent’anni e le conseguenze di quella infausta scelta le viviamo oggi come durante tutto questo tempo!

Ricordo i lunghi lavori parlamentari per adattare le leggi svizzere al cosiddetto “acquis communautaire” alle norme cioè in vigore nell’Unione europea, terminati con 127 sì contro 61 no nel Consiglio nazionale e con 39 sì contro 4 no nel Consiglio degli Stati. Alla fine sembravamo (quasi) tutte e tutti d’accordo. Qualche ecologista temeva che avremmo perso il primo posto nella difesa dell’ambiente (l’abbiamo perso lo stesso) e altri temevano per la possibile perdita di sovranità (ora adattiamo “volontariamente” le nostre leggi a quelle europee). Il Consiglio federale stesso, introducendo la domanda di adesione all’Unione europea, ha confuso le carte, facendo intendere che lo Spazio economico europeo sarebbe stato l’anticamera dell’adesione. Ne ha approfittato Blocher che ha fatto dell’indipendenza svizzera la sua battaglia, aiutando il No e rilanciando la sua Udc.

Lo Spazio economico europeo era stato creato per includere i Paesi dell’Associazione europea di libero scambio (Aels) al mercato dell’Unione europea. La Svizzera aveva creato l’Aels nel 1960 con Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia e Regno Unito. Poi si sono aggiunti Finlandia, Islanda e Liechtenstein. Molti di questi Paesi hanno aderito all’Unione europea (il Regno Unito l’ha poi abbandonata nel 2016) e sono rimasti solo Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera che sola ha rifiutato di aderire allo Spazio economico europeo.

Noi abbiamo cercato di rimediare con i cosiddetti accordi bilaterali, sostenuti dal popolo svizzero in parecchie votazioni popolari, che sono però giunti al capolinea: troppo numerosi, troppo complessi e congelati in contesti giuridici superati.

Di fatto da anni i nostri rapporti con l’Unione europea sono bloccati, anzi peggiorano incessantemente. Ne soffrono, tra l’altro, la nostra ricerca scientifica esclusa dai programmi europei, e il nostro inserimento nella rete elettrica europea, così importante per il nostro approvvigionamento. Per parecchi anni la politica svizzera non è riuscita fare passi avanti: dal 2014 al 2022 ha cercato di trovare un accordo istituzionale con l’Unione europea, arrivando addirittura a troncare le trattative nel maggio di quest’anno: una seconda infausta decisione!

Ora finalmente le voci per un avvicinamento all’Unione europea si fanno sempre più numerose: il Ps svizzero ha deciso nel suo Congresso dello scorso ottobre un piano in tre fasi per consolidare i nostri rapporti con l’Unione europea fino all’avvio di trattative per l’adesione. Il movimento europeo Svizzera rilancia l’adesione allo Spazio economico europeo, forte di un’inchiesta secondo la quale il 71% sarebbe ora favorevole. Dopo il tragico errore di trent’anni fa è giunto il momento di riallacciare i nostri rapporti con l’Europa!

Articolo di Carlo Lepori apparso su La Regione il 6 dicembre

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