Il PLR svizzero – e ora anche l’UDCsi è scagliato contro la scuola inclusiva. Il PLR ticinese affronta il tema con il guanto di velluto. Ma è proprio così? Non vogliamo mettere in discussione il concetto di inclusione, scrivono i rappresentanti PLR in una interrogazione, poi elencano una serie di «ma» per concludere che in Ticino c’è un approccio ideologico e poco concreto.
Emerge un’idea chiara: riduciamo il perimetro di azione dell’inclusività nella scuola.
Il campo va sgomberato da un paio di equivoci. Nessuno ha mai chiesto che tutti siano uguali, anzi, inclusione significa riconoscere le differenze. Semplicemente senza penalizzarle. Difendere l’inclusione non è un’idea di conservazione, ma di movimento, perché il tema è complesso e bisogna essere pronti al cambiamento.
Io mi limito a raccontare una storia e chiedo scusa se è personale. Anno 1966, mia sorella ha tre anni, non parla e ha comportamenti «strani», batte la testa contro i vetri e tira spesso i capelli degli altri. È il suo modo di entrare in contatto con il mondo. Mia mamma, determinata e fiera, va dalla maestra d’asilo, lei ascolta e dice semplicemente: «Sì, la prendo nella mia classe». Mia sorella ha faticato ad entrare in contatto con il mondo dell’asilo (allora si chiamava così), anche la maestra ha certamente faticato a gestire una bambina così «strana». Ho trovato un nastro con il racconto che fa mia mamma a una classe elementare alla quale è stata invitata con mia sorella, che allora aveva undici anni, per parlare della sua esperienza. Me lo ha dato il maestro Renato Bernasconi di Lamone, che parlava di inclusione a scuola prima che la scuola parlasse di inclusione. Eccone un estratto: «All’inizio stava solo dalle nove alle undici e mezza e ne faceva di tutti colori. Andava sotto i banchi, tirava i capelli a tutti. Ogni tanto c’erano i bambini che dicevano: “La Chiara mi ha tirato i capelli». Io ho detto: “Dovete tirarglieli anche voi, deve imparare. Speriamo che impari. Infatti con questo sistema dopo un po’ di tempo di capelli non ne ha più tirati. Bisogna fare anche molta attenzione a non viziare questi bambini. Come vi ho detto, io ho sbagliato parecchie volte».
Questa piccola storia mi ha detto una cosa importante: probabilmente i bambini di quella classe di asilo hanno perso qualche ora di attività didattiche. In compenso hanno guadagnato la possibilità di vedere il mondo con occhi diversi, che è impagabile.
Un’inclusione concreta può produrre benefici sulla comunità educativa, ma anche sulle famiglie e sulla società, anche, e oggi a maggior ragione, inserendo nelle classi bambine e bambini alloglotti o con altri problemi. La determinazione di mia mamma e il coraggio di quella maestra d’asilo hanno contribuito a fabbricare quello di buono che succede oggi nella nostra scuola.
Non possiamo tradirle in nome di una logica di partito.
Articolo di Maurizio Canetta apparso sul Corriere del Ticino il 28 ottobre