L’Europa necessaria

Il preoccupante bradisismo geopolitico al quale assistiamo giornalmente mi pare mostri molto bene quanto sia più che opportuno che il progetto europeo, costruito sull’Unione europea, possa fare passi avanti decisivi. È un progetto ancora largamente incompiuto, nato in un’Europa piccola, quella dei pochi Stati democratici occidentali della Guerra Fredda (alcuni come la Spagna, il Portogallo, la Grecia, non lo sono stati per diverso tempo), e poi cresciuto in tempi rapidissimi con l’allargamento a est dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione della Germania. Ma è l’unico a disposizione per evitare che questa parte del mondo e alcuni valori che essa dovrebbe rappresentare (ci tornerò dopo) non diventino irrilevanti, schiacciati tra Usa, Russia, Cina e qualche altra potenza geopolitica regionale. L’alternativa sarebbe la disgregazione del nostro continente nel mare dei piccoli sovranismi e la sua conseguente colonizzazione economica, se non di altra natura, da parte dei grandi player globali appena citati. Una prospettiva a mio parere da brividi per le generazioni di europei che verranno, che davvero non augurerei ai miei figli e ai loro discendenti.

Quella attuale è un’Europa certamente criticabile e imperfetta, con istituzioni complicate o monche a seguito della mancata cessione di sovranità da parte delle nazioni che la compongono, tanto che il progetto più importante che lega queste nazioni, l’euro, non coinvolge tutti i 27 Paesi membri, ma soltanto una maggioranza di essi. È soprattutto un progetto che non ha ancora gli strumenti adeguati per perseguire quelli che a me paiono i suoi due elementi valoriali principali: la ricerca e il mantenimento della pace e la garanzia della democrazia.

Per il perseguimento e il mantenimento della pace sono infatti necessarie due componenti, drammaticamente assenti durante la crisi innescata dall’invasione russa dell’Ucraina: sia una politica estera unica, che presuppone però che l’Unione europea sia o si comporti come uno Stato federale e rappresenti l’insieme degli europei, sia una difesa comune; ambedue questi strumenti oggi sostanzialmente non sussistono e questo rende debole l’Unione sia sul piano diplomatico che militare, azzoppandone le possibilità d’intervento. Per ora passi avanti nella costruzione di una diplomazia europea forte non se ne vedono, ed è un gran peccato, e sulla difesa comune i progetti a me paiono piuttosto confusi e purtroppo parecchio sbilanciati ancora sul concetto di strutture militari nazionali da far lavorare assieme, non su un apparato continentale integrato.

Per poter invece garantire la democrazia è indispensabile che l’Unione riveda i suoi processi decisionali interni, promuovendo più democrazia, rivedendo il ruolo del parlamento europeo, il ruolo e le competenze della Commissione, nonché la modalità di rappresentare istituzionalmente gli Stati, cosa che gli Stati federali hanno sempre risolto creando una Camera parlamentare ad hoc (da noi il Consiglio degli Stati, negli Usa il Senato ecc.). Idealmente bisognerebbe tornare a un nuovo progetto di Costituzione europea.

Pur con tutte le sue debolezze e criticità, la sussistenza dell’Unione europea e lo sviluppo verso il suo consolidamento e il suo completamento rimangono per tutti gli abitanti di questo continente necessari, se non indispensabili. Con qualche analogia con i tempi bui in cui venne scritto il manifesto di Ventotene, la poco edificante situazione politica attuale merita come allora un’offensiva politica, una spinta verso la continuazione del cantiere politico tortuoso e complicato iniziato qualche decennio fa e ancora non concluso. È senz’altro vero che mancano delle figure di spicco che possano incarnare questo progetto, dei Garibaldi europei, ma è prima di tutto nella testa dei cittadini che deve crescere il sentimento di unione, l’idea che è solo assieme che gli europei se la potranno cavare. Lo spostamento a destra registrato con le elezioni europee dello scorso anno rende ancora più difficile questo cammino, ma volente o nolente questa rimane l’unica prospettiva possibile affinché il Vecchio continente non venga condannato all’irrilevanza e con essa non si perdano i valori che costui sa ancora rappresentare, seppur imperfettamente.

Articolo di Manuele Bertoli apparso su La Regione il 12 aprile

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