Lettera aperta a Mattea David

Cara Mattea,

Ho letto con attenzione e con piacere il tuo intervento pubblicato da “La Regione” prima e sulle  nostre “News” qualche giorno fa a proposito della protesta popolare.

Il tema non è anodino, e in molti ci poniamo l’interrogativo di fronte alla nostra “prudenza” nel manifestare pubblicamente. Ti propongo alcune riflessioni, che vengono da un compagno che appartiene ad altra generazione, con i capelli oramai bianchissimi, ma che forse possono alimentare un approfondimento.

Comincio dalla Francia, dove ho vissuto a Parigi per alcuni anni, in periodi densi di interesse, dal famoso (e anche un po’ fumoso) ’68 in poi. Ho assistito, tra le molte altre, a lezioni universitarie di grandi nomi della sinistra, come ad esempio quelle di Michel Rocard, allora segretario generale del PSU, piccolo partito di sinistra ”radicale” paragonabile (toutes proportions gardées) al nostro PSA. Ho conosciuto sia la mobilitazione delle interminabili -e sovente inconcludenti- assemblee generali degli studenti, pur appoggiate da illustri personaggi, sia le manifestazioni “di strada” con i “pavés” che fischiavano, sovente non comprese  dalla popolazione, come poi si vide in seguito.

Tu scrivi di manifestazioni, di rivendicazioni, di mobilitazione, di piazze piene in molti paesi e di mancate propteste popolari nel nostro Paese. Come sai, ogni riflessione, prima di poter essere generalizzata, va contestualizzata, e il collegamento con i movimenti di protesta francesi non può fare astrazione delle istituzioni di quel Paese, anzi deve partirne. Oggi in Francia è in vigore la cosiddetta V Repubblica, nata nel 1958 per via referendaria. Fu voluta da De Gaulle quando venne chiamato dai partiti a guidare una Francia in balìa di un sistema istituzionale che favoriva le correnti, il frastagliamento,  la confusione, e soprattutto una pericolosa instabilità politica che aveva fragilizzato il Paese, la democrazia e la situazione sociale. Allora noi giovani eravamo quasi visceralmente antigollisti; oggi, con qualche conoscenza in più, vedo la questione con occhi un po’ diversi. Il sistema istituzionale della V Repubblica ha permesso un ritorno alla politica propositiva, ad un rafforzamento dello stato sociale, ad un confronto chiaro tra le forze politiche, e anche a due socialisti  (quando hanno avuto l’accortezza e la forza di unire la sinistra) di diventare presidenti della Repubblica. E ciò con una forza elettorale di poco più del 30 percento. Quel sistema permise anche, fino alle ultime elezioni, di tenere lontana dal parlamento l’estrema destra, lasciandola in una situazione di difficile rappresentatività. Si tratta, come sai, di una destra ben peggiore della nostra UDC , che pure, di questi tempi, non scherza. Quando i neo-gollisti, Macron e i “mélenchoniani” hanno sciaguratamente disdatteso l’ ”intesa repubblicana” che favoriva il candidato democratico meglio piazzato, la destra è entrata in forze in parlamento e oggi ne influenza pesantemente le scelte, e domani potrebbe addirittura andare al Governo. Con parecchie similitudini, da noi, liberali e centristi si alleano,  oramai senza nessun pudore democratico, sempre più con i democentristi, che sono sempre più a destra (per usare un eufemismo).

Quel sistema, anche se sostanzialmente diverso dal nostro, è certamente democratico, permette la formazione di maggioranze legislative, ma anche di sconfessare le stesse attraverso voti parlamentari. Mancano, in quel sistema, sia quelle che noi chiamiamo “iniziative”, sia i “referendum” non costituzionali. Ogni confronto fra le diverse forme di democrazia è quindi delicato. Nel contesto francese la politica si “fa” in parlamento, unico luogo di confronto tra le forze politiche che rappresentano il Paese. Evidentemente ci sono procedure che facciamo un po’ fatica a condividere, e che ci sembrano poco democratiche, come quei ricorsi al voto di fiducia per “portare a casa” una legge. Tuttavia, immaginiamoci un istante se, come successo recentemente in Francia, di fronte ad una proposta di legge, a Berna i socialisti presentassero 14’000 (quattordicimila !)  emendamenti da discutere entro un tempo ragionevole: i nostri partiti borghesi impiegherebbero meno di 24 ore per modificare la costituzione …  Quindi la strada rappresenta, per i francesi, ma non solo per loro, in un certo senso la nostra “democrazia diretta”.  Ma non mi lascerei incantare così facilmente da quei “movimenti popolari”. Innanzittutto perché essi sono sovente espressione più di malcontento generale  (largamente e atavicamente molto diffuso tra i francesi) che di lucida riflessione puntuale sui problemi. Poi perché, numericamente, rappresentano spesso -al di là dell’enfatizzazione, della ridondanza mediatica e della inutile e gratuita violenza  che essi generano- una piccola parte della popolazione e degli elettori. Io non credo né ai numeri dei sindacati, né a quelli di Mélenchon: “Le Monde” parla di un milione mezzo di manifestanti in tutta la Francia, quindi di meno del due percento della popolazione. Il dato numerico è importante per almeno due ragioni. Da un lato esso significa che solo due francesi su cento sono disposti a mostrare concretamente la propria avversione ad un processo che, lo si volgia o no, è fatalmente in atto (e probabilmente necessario) o in vigore in tutta Europa, noi compresi. Con ciò, non voglio stigmatizzare coloro i quali, per mille ragioni,  non “possono” manifestare, e nemmeno voglio sottacere anomalie e ingiustizie di quel progetto.  D’altro lato, quella percentuale così “bassa”  di manifestanti e quella così alta degli assenti non è che lo specchio delle reali forze politiche e dell’orientamento dell’elettorato francesi  (ma non solo francesi …), i tre quarti dei quali votano a destra o per il centro-destra. Quegli elettori SONO il ceto-medio, che tu indichi quale vittima sacrificale della nuova legge sulle pensioni che porta in strada un milione e mezzo di manifestanti. Quindi i francesi -ma da noi siamo nella stessa situazione- votano massicciamente per partiti  e parlamentari con i quali si trovano in conflitto, ma poi continuano a votarli, legislatura dopo legislatura. Chi sono quindi quei manifestanti e soprattutto, a chi profittano questi moti ?  A Mélanchon, che è un abilissimo e intelligentissimo capopolo, ma della cui eventuale capacità di governare dubito molto, e soprattutto a Marine Lepen.

La sinistra radicale e i sindacati che orchestrano e dirigono questi moti hanno, da decenni oramai, una visione riduttiva e manichea della società nella quale viviamo: ancora una volta, quei moti profittano esclusivamente alla destra, in particolare quella estrema. Non di certo ai socialisti e al socialismo.

La nuova legge francese sulle pensioni, anche se fosse diversa o venisse ritirata, non modificherebbe di un ette il rapporto tra ricchi e poveri, non fermerebbe e nemmeno rallenterebbe quella disumana e profondamente ingiusta tendenza che oggi porta all’aumento della povertà per molti e della ricchezza per pochi.  Ben altri, di carattere strutturale e fiscale, sono gli strumenti che potrebbero invertire quella tendenza. Ma che fare ?  Temo che i programmi elettorali, rossi o verdi che siano, i proclami, le dichiarazioni d’impegno servano a ben poco. Ancora meno servono, come le chiama oggi su “La Regione” lo storico Andrea Ghiringhelli in uno dei suoi periodici interessanti e intelligenti interventi, “le parole di nebbia (della sinistra, ndr) che privilegiano una certa astrazione concettuale ed evitano di affrontare di petto, con la dovuta crudezza, i problemi che la gente comune sente come prioritari”.

Insomma: meno analisi teoriche, più concretezza e, soprattutto, proposte condivisibili e realizzabili. Per ciò occorre una rivoluzione del pensiero negli elettori, una consapevolezza che oggi sembra inesistente, oppure -ma mi sembra molto azzardato- una rivolta cruenta globale tale da mettere in crisi tutto, dall’economia alle istituzioni. Francamente non vedo come, oggi, nemmeno una delle due possa essere realizzabile. Ti chiedi come sia possibile che in Israele, in Iran, in Afganistan ( ? ) o nelle piazze italiane si protesti e si provi a cambiare le cose attraverso la piazza, e da noi ciò non avvienga. Da noi, fortunatamente o sfortunatamente, non c’è la cultura della rivendicazione popolare poiché le istituzioni, fortunatamente o sfortunatamente, ci pongono in una dimensione diversa (e forse unica al mondo) rispetto al confronto politico. Il nostro confronto si svolge su altri livelli, con altri strumenti istituzionali, non sempre generosi con la sinistra (ve ne accorgerete, voi giovani deputati, ben presto). Sono, i nostri, strumenti istituzionali di grande valenza democratica, ma che andrebbero accompagnati da altrettanta democraticità dei mezzi di informazione, qualsiasi essi siano. Sappiamo che, invece, non è così e questo è un grosso problema per noi e per la democrazia. Sappiamo bene chi tiene il coltello per il manico e chi e come riesce a influenzare il voto dei cittadini, sovente contro l’interesse degli stessi. E`un classico, che funziona sempre: tu inventi un problema, crei un colpevole e ne fai un inarrestabile veicolo di voti grazie alla ridondanza dei media. UDC, ma non solo,  insegna.  Non altrimenti si spiegherebbe la forza di coloro i quali difendono gli interessi di pochi con il voto di molti e che fanno leva sulle paure e su presunti privilegi acquisiti dal ceto-medio per proporre una società a due o tre velocità. Il terreno dell’informazione oggi è primordiale per la diffusione delle idee e quindi per la formazione delle coscienze, ben più di qualsiasi manifestazione grande o piccola, giusta o necessaria che sia.

Per tornare al nostro piccolo, il PS e i “progressisti” in genere possono solo sperare in poche e sporadiche aperture (poi subito rintuzzate)  da parte dei mezzi di informazione.  E una informazione alternativa necessiterebbe uno sforzo finanziario e umano non ipotizzabile per noi. Ci fu un tempo, all’inizio degli anni 80, in cui il PST studiò molto seriamente la possibilità di un giornale e di una radio animati dal partito, dai sindacati, dalle forze  -anche economiche- progressiste. Per timore, ma soprattutto per malfidenza e incomprensione tra le parti (e in quel senso i  sindacati fecero, purtroppo, la loro parte) quei progetti che negli anni sarebbero stati così utili, furono mestamente abbandonati. Forse erano troppo precursori, forse erano proposti ad un sindacato ancora diviso e ancorato a vecchi schemi (ma sono cambiati ?) e non se ne fece nulla. Quell’occasione persa non fu né la causa né la conseguenza dell’immobilismo elettorale che -voltala e girala- affligge la sinistra nel suo insieme da molti anni. Ma oggi ancora più di ieri si sente la pesante mancanza di uno o più vettori per la trasmissione delle nostre idee e delle nostre azioni.

In conclusione   -ma ci sarebbe ancora da scrivere per intere pagine-  suggerirei un tantino di prudenza prima di parlare della “forza straordinaria di un popolo che si mobilita”: ma di quale popolo si parla mai, e di quale mobilitazione e in quale contesto istituzionale ?

Fino ad oggi, e da parecchi decenni, ogni forma di rivendicazione radicale, ogni forma di violenza, ogni forma di confusione programmatica  o ideologica  hanno  portato voti e consensi esclusivamente alla destra (la Francia ne è un esempio cristallino) senza che essa muovesse un solo dito, in particolare alla destra estrema (che, francamente, fa rabbrividire il vecchio socialista quale sono). So che potrei farti inorridire, ma penso che, purtroppo, scendere in piazza da noi sia quasi inutile (tenedo conto di quanto ho espresso qui sopra) e a volte quasi folcloristico.

Meglio, molto meglio se, al di là del pindarico  – anche se utile –   progetto rosso-verde, tutte le forze di sinistra si unissero attorno ad una decina di proposte concrete, molto concrete, in grado di far presa su quel ceto-medio che oggi, in grande maggioranza, ci considera inadatti per risolvere i suoi problemi. Forza e coraggio, con la generosità e l’entusiasmo che contraddistinguono i giovani compagni, il nostro futuro. Con l’augurio che né l’una né l’altro servano ai “vecchi” per operazioni di bottega, come purtroppo temo che avvenga.

Con un saluto  fraterno,

Luca Bellinelli

Beitrag teilen:

Facebook
Twitter
LinkedIn
Animation laden...Animation laden...Animation laden...

Newsfeed