Le nostre dighe, un po’ come la Fontana di Trevi

L’ultimo botto della liberalizzazione del mercato elettrico, avviata un quarto di secolo fa in Europa e dal 2009 in Svizzera, è il prezzo di 75 cts/kWh che dobbiamo pagare ai proprietari degli impianti idroelettrici ad accumulazione del nostro Paese per disporre di una riserva di energia di circa 400 GWh fino a maggio 2023. Impianti che hanno costi di produzione di 6 cts/kWh. Riserva decisa dal Consiglio federale per arrivare a fine inverno con acqua da turbinare nei nostri bacini. Costo, circa 300 milioni di franchi che pagheremo tutti nelle bollette nel 2024, a meno che le Camere accettino il mio emendamento. In altre parole ci vendono per 300 milioni a livello svizzero l’equivalente di due anni di produzione della Verzasca, impianto costato 165 milioni 60 anni fa.

Un po’ come il geniale Totò, alias Cavalier Antonio Trevi, in ‘Tototruffa 62’ riuscì a vendere la Fontana di Trevi a un ignaro turista italoamericano, le nostre Aziende elettriche, lo scorso mese, sono riuscite a rivenderci, o meglio affittarci, fino a maggio 2023 e a carissimo prezzo una piccola parte di quanto di fatto ci appartiene, considerato che le aziende in questione sono pubbliche e appartengono al 90% a Cantoni e Città. Pagheremo una seconda volta l’usufrutto del 5,7% della capacità di energia elettrica che abbiamo negli oltre 50 bacini che le Aziende elettriche hanno costruito nel secolo scorso proprio per avere una riserva d’acqua per produrre elettricità d’inverno e che da allora abbiamo già pagato con le fatture dell’elettricità.

Quella che oggi viene definita riserva di energia idroelettrica è un costoso maldestro cerotto per aggiustare uno dei danni collaterali che la liberalizzazione del mercato elettrico in Svizzera ha procurato. L’ipotesi per una riserva strategica idroelettrica era nata da un’analisi degli effetti sull’approvvigionamento elettrico del Clean Energy Package o Winter Package deciso dall’Ue nel 2019 che punta a promuovere maggiormente il rinnovabile e che impone un utilizzo delle linee ad alta tensione di interconnessione riservate per almeno il 70% agli scambi tra Paesi Ue.

Scenario con inverno freddo, nucleare parzialmente fuori esercizio e bacini vuoti, ipotizzava situazioni di scarsità di elettricità per alcune ore al giorno a fine inverno 2025, non potendo più usufruire “liberamente” delle linee d’interconnessione per importare elettricità in assenza di un accordo sull’elettricità con l’Ue. Riserva strategica inserita nella Legge su un approvvigionamento elettrico sicuro con le energie rinnovabili presentata alle Camere lo scorso anno a giugno, prima quindi del dimezzamento del nucleare francese e della guerra in Ucraina che hanno fatto salire alle stelle il prezzo del gas e di conseguenza dell’elettricità.

Prezzi altissimi e rischio di penuria di energia elettrica nel prossimo inverno hanno spinto il Consiglio federale a implementare d’urgenza la riserva strategica tramite l’Ordinanza sulla costituzione di una riserva di energia idroelettrica (Orei) adottata a settembre. Ed eccoci a dover pagare di nuovo per elettricità che ci appartiene, elettricità che però le Aziende elettriche dal 2009 possono vendere liberamente sul mercato europeo al miglior offerente, senza più dover occuparsi del mandato di servizio pubblico, cioè garantire l’approvvigionamento elettrico nazionale a prezzi corretti.

Cantoni e Città proprietari hanno lasciato carta bianca alle loro Aziende, che non dimostrano grande responsabilità sociale né riguardo all’economia del Paese, ma operano come qualsiasi azienda privata per la massimizzazione dei profitti. Chiaramente una situazione non sostenibile, l’Orei va corretta, la riserva idroelettrica non può essere acquistata a prezzi di mercato europeo, ma va imposta ai proprietari degli impianti pagando il costo di produzione, al massimo cost-plus. La riserva idroelettrica è da considerare come una naturale e necessaria riserva invernale di elettricità, e va tolta dal libero mercato.

Articolo di Bruno Storni apparso su La Regione il 28 novembre

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