Secondo il censimento del 2020 dell’Ufficio federale di statistica (Ust), le gestrici e i gestori di aziende agricole lavorano oltre le 62 ore settimanali. Il reddito agricolo è di circa 80’700 fr. (nelle regioni di montagna di 60’000 fr.). Per poter mantenere la propria famiglia (che spesso lavora per l’azienda senza retribuzione) e per fare gli investimenti necessari per restare al passo coi tempi, la maggior parte delle aziende ricorre ad attività extra che di fatto implicano un ulteriore carico di lavoro; vendita diretta, trasformazione del legno, lavori agricoli per altre aziende e molto altro ancora (Ust, 2020).
Eppure, da parte della politica e della popolazione vi è sempre più pressione affinché l’agricoltura produca in maniera sostenibile, restando nel contempo competitiva. Per restare competitivi viene preteso di abbassare i prezzi, di ingrandirsi per ricevere più contributi e di fare investimenti tecnologici e strutturali. Dall’altra, si vuole un’agricoltura sostenibile (giustamente) che richiede di tenere sempre meno animali e di sottostare a tutta una serie di richieste che richiedono un lavoro fisico e burocratico non da poco. Queste due spinte sembrano così in antitesi, e c’è spesso un sentimento da parte di chi lavora nel primario di essere tacciato come l’unico settore che inquina e si vede calare dall’alto tutta una serie di iniziative, che sicuramente nell’intento sono buone, ma nell’attuazione un po’ meno.
Va detto chiaro e tondo: anche l’agricoltura deve partecipare alla transizione ecologica, e non perché è un settore che inquina particolarmente, ma perché tutte e tutti devono fare la propria parte, e l’agricoltura non può esimersi dal partecipare alla svolta. Eppure quel che va cambiato è l’approccio sul come fare questa transizione. Va creato un dialogo, tra chi già ci sta provando, e chi invece non ha i mezzi in termini di tempo e di reddito; tra chi impone le leggi, e chi le deve applicare; tra chi consuma e pretende prezzi bassi, e l’agricoltrice e l’agricoltore che devono vendere al prezzo giusto. Bisogna così creare un servi‐zio pubblico efficiente per la transizione che offra consulenze accessibili e che segua in maniera proattiva le agricoltrici e gli agricoltori che non hanno i mezzi e le risorse per farlo da sole/i (si veda sopra il carico di lavoro e il reddito agricolo). Un investimento in questo senso, per una transizione non solo ecologica, ma anche sociale dell’agricoltura, va fatto e deve essere sostenuto con i contributi statali perché concerne un settore fondamentale per tutte e tutti noi.
Articolo di Alice Ambrosetti, candidata al Consiglio nazionale apparso su laRegione, 17 ottobre 2023