La scuola e quella narrazione caricaturale

Nell’editoriale del 24 ottobre dedicato all’inclusione nella scuola, per ragioni che io non comprendo, il vicedirettore Gianni Righinetti ha usato il vecchio trucco retorico di attribuire ad una delle parti al confronto, i sostenitori della scuola inclusiva, un’intenzione errata, a partire dalla quale giustificare la necessità di distanziarsene. L’intenzione errata e quella attribuita loro di puntare a considerare tutti gli alunni uguali, di affermare che tutti gli allievi avrebbero le stesse capacità e potenzialità e di mirare a un’uniformità dei loro risultati scolastici. Non ricordo di avere mai letto simili concetti nei vari documenti dei diversi fautori della scuola inclusiva e mi rammarico di vederli menzionati come verità in un commento giornalistico, quando nessuno li ha mai sostenuti.

Lungi dalle caricature narrative, il discorso di base di chi vuole la scuola inclusiva è sempre stato un altro. A favore di una scuola dell’obbligo, perché è di quella che stiamo parlando, con il precipuo compito di aiutare tutti al meglio, in maniera differenziata, quindi con sostegni e accompagnamenti diversi, a dipendenza dei bisogni, delle potenzialità e delle debolezze, dentro un unico contesto non segregativo. Nessuna sciocca negazione delle differenze, ma l’impegno ad aiutare e sostenere tutti al meglio, con strumenti diversi e articolati, dentro una comunità che non separa i suoi membri, affinché alla fine del percorso ognuno abbia in mano il bagaglio più completo e solido possibile. L’esempio lo riprendo dal medesimo articolo, ed è quello dell’allievo alloglotto. Contrariamente a quanto sostenuto dall’editorialista, la conoscenza della lingua del posto non deve essere un requisito fondamentale per accedere alle classi ordinarie: gli allievi alloglotti (oggi magari africani, ieri svizzero tedeschi) è bene che abbiano, soprattutto all’inizio, anche degli spazi a loro specificamente dedicati (alcune ore speciali solo per loro), ma è altrettanto importante che comincino molto presto ad essere integrati nelle classi ordinarie, perché è proprio lì che avviene in maniera naturale e generalmente abbastanza rapida anche l’apprendimento della lingua. Certo le classi non devono avere troppi allievi, per permettere ai docenti di seguire anche questa esigenza specifica, ma la separazione prolungata degli allievi alloglotti in un contesto di persone che non parlano la lingua che devono apprendere è inefficace, illusoria e probabilmente anche costosa. Come scriveva l’articolista, non c’è eccellenza senza diseguaglianza, ma al pari mi permetto di aggiungere che non vi è parità di trattamento senza dare ad ogni allievo il sostegno differenziato a cui ha diritto e il contesto adeguato e stimolante in cui apprendere davvero.

Chi oltralpe oggi sostiene che l’inclusione a scuola non funzioni per ora non ha portato lo straccio di un dato per cercare di dimostrarlo: forse sarebbe bene chiedere conto di questa lacuna a costoro, invece di attribuire a chi contrasta questa visione con cose che non ha mai detto..
Articolo di Manuele Bertoli , già Consigliere di Stato, pubblicato sul Corriere del Ticino del 25 ottobre

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