C’è un filo sottile e tagliente che lega la frammentazione della società all’avvento delle destre populiste, alla distruzione della democrazia: l’individualismo. Elevato a dogma supremo, religione secolare che predica l’io al centro del mondo, autosufficienza come virtù ed empatia come debolezza. Religione senza templi, celebra il suo culto quotidiano convincendoci che siamo liberi quando, in realtà, siamo schiavi delle sue logiche. Il capitalismo, questo apparato ideologico che seduce, isola e, poi, consuma. Ci convince che il nostro valore dipenda dal nostro successo individuale, misurato in beni, status, visibilità. In questa corsa folle per affermare il nostro “io”, perdiamo di vista la nostra natura più profonda: quella di esseri relazionali, imperfetti e interdipendenti. L’individualismo ci illude di essere forti. In realtà, ci rende fragili. Ci fa credere di essere liberi mentre ci incatena a una solitudine, spegne il senso del collettivo, quel “noi” fondamento di ogni democrazia. La democrazia non può sopravvivere in una società frammentata in monadi autoreferenziali. Richiede solidarietà, dialogo e fiducia nell’altro. L’individualismo radicale distrugge tutto questo.
Ci insegna a vedere nell’altro un concorrente, un nemico, un ostacolo alla nostra realizzazione. Viviamo in una società dove l’alterità non è più un’opportunità di arricchimento ma una minaccia. L’altro non è più qualcuno da amare ma qualcosa da temere, ignorare. Questo meccanismo è quello che – anche – alimenta il populismo e l’ascesa delle destre. L’individualismo ci priva di radici comunitarie, ci lascia spaventati, disorientati, pronti a cadere nelle braccia di leader che promettono certezze semplici e nemici chiari contro cui sfogare la nostra insoddisfazione. Il capitalismo si presenta come un sistema di libertà ma diventa complice di un sistema di oppressione: sfrutta il nostro isolamento per indebolirci e consegnarci, inermi, a chi vuole controllarci. Ma la libertà vera non si conquista da soli. È un movimento paradossale, come l’amore: si trova aprendosi all’altro, costruendo ponti invece di muri. Il capitalismo non ci permette di amare. Ci insegna ad accumulare, a proteggere gelosamente ciò che abbiamo, a temere chi potrebbe sottrarcelo. Ci trasforma in individui ossessionati dal proprio benessere, che distruggono sé stessi e chi sta loro vicino in una spirale di insicurezza e avidità. Ci vuole un atto di ribellione contro questa religione dell’io: dobbiamo riscoprire il valore dell’altro, dell’amore inteso come dono e non come calcolo, abbracciando la vulnerabilità, riconoscendo che nessuno si salva da solo. Riscoprire il “noi” è un atto di resistenza, unica via per rimanere umani in un sistema che ci vorrebbe soli, spaventati e docili. Insieme, invece, possiamo immaginare un futuro che non sia fatto di paura. L’atto rivoluzionario del far sentire la voce del “noi” collettivo, oggi, è quanto mai necessario.
Articolo di Mattea David apparso su La Regione il 1. febbraio 2025