Intervista a Elisabeth Baume-Schneider

Il 7 dicembre 2022, il Giura, l’ultimo Cantone ad unirsi alla Confederazione, ha finalmente ottenuto un seggio al Consiglio federale con Elisabeth Baume-Schneider. La nuova Consigliera federale, attivista di lunga data del Partito Socialista, rappresenta, grazie alla sua esperienza come assistente sociale, una sinistra vicina alle realtà sociali del territorio. Oggi, ripercorriamo il primo anno del suo mandato da Consigliera federale.

 

Elisabeth Baume-Schneider, buongiorno. Sei stata eletta lo scorso dicembre al Consiglio federale, anche se i media non ti davano molte possibilità di successo. Qual è stato il tuo primo pensiero all’annuncio del risultato?

Al momento dell’annuncio della mia elezione, era difficile avere pensieri chiari. In quel momento, ho provato soprattutto due emozioni: felicità e riconoscenza per la fiducia che l’Assemblea federale mi ha accordato eleggendomi. È una grande gioia e una seria responsabilità poter portare avanti le mie idee nel Governo federale. È vero che sono stata eletta a sorpresa, ma sicuramente non a caso.

 

Immagino che il tuo mandato implichi un carico di lavoro molto impegnativo; chi si occupa ora della tua pecora Petite Arvine? Come ti sei adattata al ritmo frenetico del lavoro di Consigliera federale?

Petite Arvine non è ancora arrivata nel Giura, ma le pecore sono animali molto autonomi che non richiedono molte attenzioni. È ovvio che, dallo scorso dicembre, è mio marito che se ne occupa. Mi sono adattata molto rapidamente al ritmo di vita di una Consigliera federale. Il fatto di avere un appartamento a Berna mi offre un luogo di vita e di riposo necessario per affrontare le sfide di questa funzione. È vero che il mandato di Consigliera federale è intenso, ma questa intensità è combinata con il piacere e il privilegio che questa responsabilità rappresenta. Non c’è stato un solo mattino dalla mia elezione in cui non mi sia felicemente dedicata alla gestione dei dossier e alla riflessione sulle strategie legate al mio Dipartimento e al lavoro del Consiglio federale.

 

Qual è stata la prima decisione significativa che hai preso come Consigliera federale?

Il primo momento significativo del mio mandato è avvenuto dopo il devastante terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria all’inizio dell’anno. Ho preso rapidamente delle decisioni sulle misure per aiutare le vittime che hanno familiari in Svizzera. Un altro momento forte è stata la mia decisione di seguire l’apprendistato delle e dei giovani rifugiati ucraini. Per me era essenziale che queste persone, fuggite dalla guerra e che iniziano una formazione in Svizzera, possano completarla.

 

Sei stata criticata molto rapidamente, principalmente da parte della destra. Come spieghi questa ostinazione nei tuoi confronti?

Si tratta soprattutto di una strategia. Io rappresento la politica di solidarietà del Partito Socialista Svizzero e inoltre sono una donna, romanda, con un background da militante di sinistra: tanti fattori che non piacciono a tante persone. Inoltre, sono a capo del Dipartimento federale responsabile delle politiche migratorie, che costituiscono una priorità politica per alcuni partiti. Sono consapevole che queste critiche continueranno, ma ciò non mi tocca a lungo termine. Quello che conta per me è difendere le mie idee di solidarietà e argomentare per ottenere la comprensione della popolazione su queste questioni sociali e sulla necessità di rispettare la dignità umana.

 

Alcuni partiti giocano sulla paura, sull’ansia facendo credere a flussi massicci di rifugiati alle nostre frontiere, pur rifiutandosi di sostenerti nel trovare soluzioni a queste situazioni. Concretamente, quali azioni intraprendi in questo campo?

In politica, è essenziale basare le nostre decisioni sui fatti e non sulle emozioni. È vero che quest’anno stiamo assistendo a un importante aumento della migrazione. Con la guerra in Ucraina, il sistema è fortemente sollecitato ed è difficile gestire le domande con la tempestività desiderata. È importante disporre delle risorse per gestirle nel minor tempo possibile. La Svizzera ha la capacità di accogliere le persone che hanno diritto alla nostra protezione, con un’attenzione particolare all’integrazione, soprattutto nel mercato del lavoro.

 

A livello internazionale, osserviamo un’ondata di conservatorismo che mette in discussione alcuni diritti fondamentali conquistati con fatica, come il diritto all’aborto. Anche in Svizzera emergono simili rivendicazioni. Come vedi questo ritorno del conservatorismo in qualità di donna di sinistra?

Innanzitutto, è incoraggiante constatare che il Popolo svizzero si oppone a certi conservatorismi. Lo abbiamo visto quest’anno con il fallimento della raccolta di firme per limitare il diritto all’aborto. Inoltre, bisogna riconoscere che molti di questi movimenti reazionari si basano principalmente su argomentazioni dubbie. Per questo motivo, è nostra responsabilità appoggiarci sempre sui fatti per sostenere le nostre argomentazioni. Abbiamo recentemente visto un buon esempio pratico: la legislazione contro l’omofobia poteva essere vista con occhi critici da alcuni ambienti. Ma dopo aver avuto l’opportunità di discutere serenamente su ciò che conteneva effettivamente la legge e sulle sue implicazioni, queste persone hanno potuto cambiare idea e appoggiare il progetto.

 

Il Parlamento ha recentemente approvato la revisione del diritto penale in materia di violenze di genere e sessuali. Cosa comporta questo per la difesa delle vittime di tali violenze?

Uno dei progressi principali di questa legge è il riconoscimento dello stupro, indipendentemente dal genere. La definizione non è più così restrittiva come prima e riguarda tutte le vittime di violenze sessuali. Inoltre, questa legge riconosce finalmente chiaramente il diritto all’autodeterminazione del corpo e rafforza i programmi di prevenzione per gli autori di coercizione sessuale o stupro. Questo rappresenta un importante passo in avanti per il diritto svizzero. Le autorità competenti devono ora attuare la legge con sollecitudine. Sarà necessario assicurarsi che in futuro tutte le vittime, senza eccezione, possano essere ascoltate e accompagnate da professionisti in ogni fase del processo, dalla denuncia al giudizio.

 

A maggio scorso, in occasione della Giornata d’azione contro la povertà e la precarietà, hai dichiarato: «La lotta contro la povertà è prioritaria». In un Paese così ricco come la Svizzera, non è paradossale dover ancora fissare tali priorità nel 2023?

Può sembrare paradossale, ma è essenziale. In Svizzera, in generale, disponiamo di una buona rete sociale, ma purtroppo molte persone continuano a scivolare attraverso le sue maglie. Per diverse ragioni, alcune persone non ricorrono all’aiuto sociale anche se ne hanno diritto. Molte temono le possibili conseguenze se fanno capo alle prestazioni sociali: c’è chi prova vergogna, chi teme l’espulsione perché non ha il passaporto svizzero, c’è addirittura chi non sa di avere diritto a un aiuto sociale. Con la mia esperienza professionale ho potuto constatare che il fatto di chiedere aiuto è ancora stigmatizzato nella mentalità svizzera. È importante ricordare che non è facile ricevere aiuto sociale: le somme percepite sono modeste, occorre costantemente giustificare i propri redditi e le spese, si è sotto costante monitoraggio da parte dei servizi sociali.

In occasione del 1° agosto hai tenuto un discorso incoraggiando i giovani a impegnarsi in politica. Alcuni potrebbero obiettare che i giovani si impegnano, ma attraverso associazioni, movimenti civici o anche su internet. Non sono forse i partiti a essere superati?

Trovo affascinante cercare di capire come le persone giovani si avvicinano alla politica. È motivante constatare un aumento della politicizzazione dei giovani nei movimenti civici, ad esempio per il 1° maggio, lo sciopero delle donne o gli scioperi per il clima. Non penso che ciò sia in contraddizione con la militanza all’interno di un partito. Queste due dinamiche sono complementari e necessarie per far sentire le voci progressiste. Abbiamo la responsabilità di portare nelle istituzioni politiche le richieste provenienti dalla strada, l’intelligenza collettiva della strada per così dire. Inoltre, trovo sbagliato considerare antiquati i partiti. Osserviamo un continuo afflusso di nuove compagne e nuovi compagni, spesso giovani, nelle file del Partito Socialista Svizzero. Tuttavia, ciò che potrebbe scoraggiare le giovani leve dall’unirsi a un partito è il peso delle strutture partitiche e il possibile divario tra il parlare della gioventù e il posto che le viene concesso.

Siamo arrivati alla fine della nostra intervista, grazie per aver accettato di parlare con noi. Per concludere, quali sono i maggiori progetti che vuoi intraprendere in futuro?

Uno dei grandi dossier prioritari riguarda la migrazione e l’integrazione. Voglio favorire l’accesso all’istruzione per agevolare l’ingresso nel mercato del lavoro, che è uno dei primi luoghi di socializzazione per le persone migranti. Questa politica mi sta a cuore perché, oltre a servire i nostri ideali umanisti di accoglienza, consente di rispondere a una significativa carenza di manodopera nel nostro paese.

Vorrei anche contribuire a definire le regole per le multinazionali responsabili. È importante che le regole svizzere siano armonizzate a livello internazionale.

Infine, un progetto che mi sta particolarmente a cuore è l’istituzione di una piattaforma intercantonale di collaborazione tra i servizi chiamati a gestire la violenza domestica: c’è ancora molto da fare per garantire l’applicazione della legge e proteggere, aiutare e accompagnare al meglio le vittime.


 

[1] Questa intervista è stata realizzata a fine estate 2023, prima dello scoppio della guerra in Medio oriente. 

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