In Svizzera ci sono stati 9 femminicidi in 3 mesi. Una donna è uccisa ogni 10 giorni. Un ritmo superiore al 2024, nel quale sono state uccise 18 donne per mano di un uomo, all’interno della sfera privata, di relazioni interpersonali di carattere sentimentale. Sarebbe semplicistico etichettarlo come la manifestazione di una relazione tossica, perché diventerebbe solo una «questione privata». Il femminicidio è un omicidio veicolato dalla misoginia. È un dato in allarmante crescita. È l’espressione dell’ostilità verso le donne e la loro emancipazione, della paura degli uomini di perdere un territorio considerato a lungo dominio incontrastato. Esprime la paura della libertà delle donne, della loro capacità di affermarsi nel mondo alla pari.
La misoginia non è soltanto una questione privata. L’aumento della violenza contro le donne, di cui il femminicidio è l’espressione estrema, è quindi una questione collettiva legata alla cultura patriarcale. Riconoscerlo è il primo passo per contrastarla.
Il patriarcato non è un termine abusato dalle femministe, è un modo di pensare, è una dominante nella coscienza collettiva, è un sentimento comune che si esprime nell’oppressione, nel dominio, nella violenza. In senso più ampio, si allarga ad altre sfere del vivere, contaminandole.
In passato le donne erano considerate inferiori, per lungo tempo estromesse, confinate, private dei loro diritti. Oggi sono diventate nemiche perché rivendicano la loro libertà, la loro soggetività, la loro autonomia di pensiero e di azione. Maltrattamento, stupro e femminicidio sono in aumento. Sono in definitiva un modo molto concreto e simbolicamente radicale di manifestare ancora il dominio e la superiorità sul corpo e sulla vita delle donne. Modi muscolari e arcaici, che parlano di padroni che non si rassegnano, che non possono perdere il controllo «sul loro oggetto». Anche «donna oggetto» non è un termine abusato dalle femministe, ma un modo di considerare la donna privandola del suo diritto di essere nel mondo. Questa violenza riguarda tutte le donne, dunque la società intera, perché la misoginia è un sentimento collettivo, globale e violento contro un solo genere. Pertanto è necessaria la solidarietà attiva delle donne e degli uomini che desiderano supportarle e appoggiarle, di quegli uomini che ci vogliono bene e non vogliono essere confusi con i relitti patriarcali. È necessario parlarne, nelle scuole, sul posto di lavoro, in famiglia, con gli amici, ovunque. È necessario essere femministe e femministi, perché la misoginia è un problema culturale il cui esito definitivo è il femminicidio. L’emancipazione femminile è un processo inarrestabile, dal quale non si torna indietro, malgrado violenti rigurgiti medioevali. È un fenomeno sociale recente, se paragonato alla cultura patriarcale millenaria. Può aver creato disorientamento e insicurezza sia nelle donne che negli uomini, poiché ha richiesto un ripensamento e una ristrutturazione delle rappresentazioni di ruolo. Tuttavia, ora più che mai, va coltivato e difeso.
Articolo di Angela Andolfo Filippini (direzione PS di Lugano) apparso sul Corriere del Ticino il 26 marzo