IL «NUOVO MASCHIO» E IL GRUPPO DEI «BULLI»

L’elezione di Trump non è solo una questione politica. È prima di tutto un cambiamento culturale, un ordine simbolico che spinge verso una direzione ben precisa: l’esercizio del potere di chiaro stampo autoritario e arcaico. Non tocca unicamente la sfera dell’organizzazione dello Stato, ma cambia profondamente la cultura su cui si fonda lo Stato.

La costituzione americana inizia con le parole «We, the people», noi, il popolo. Peccato che «We» sia un gruppo di interesse di maschi bianchi, plurimiliardari a cui del «popolo » e della Costituzione interessa poco e niente.

L’investitura di Trump è stata carica di significati simbolici. Ha ricevuto un supporto da stadio. Sono state espresse gestualità e mimica grottesche e oltraggiose (fra gli altri, Musk mostra i muscoli e fa il saluto romano). L’aspetto più preoccupante non è il teatrino, quanto i numerosi gravi tratti psicopatologici emersi dalle dichiarazioni e dalle azioni del presidente. Esprimono un marcato senso di onnipotenza, manie di grandezza nelle intenzioni espansionistiche e colonialistiche, diniego e menefreghismo assoluto per la crisi climatica, disprezzo per i trattati internazionali, per le diversità di genere, per la povertà, manifesta euforia e avidità per i profitti derivanti dagli artifici finanziari (le sue criptovalute emesse dopo «l’incoronazione»). Emerge inoltre sadismo per le deportazioni di massa, già cominciate ed esibite via social, arroganza e mancanza di critica per il forte legame fra potere tecnologico, economico e politico. Il tutto condito in salsa salvifica. Un mix ad alto potenziale di detonazione che ci travolgerà tutti.

A livello globale, gli Stati Uniti hanno sempre esercitato un’influenza marcata, attraverso il soft power dei prodotti commerciali, del cinema, della musica, dello stile di vita generale. Ora questa influenza si trasferisce su un modello di «nuovo maschio» politico. Già ampiamente in voga, questo maschio impazza, contagiando altri ed altre che si sentono perciò legittimati ad adottare la stessa postura. Arroganti, aggressivi, impulsivi, competitivi, instabili e pericolosi. Javier Milei in Argentina, esempio di maschilismo di ritorno, ha già derubricato il femminicidio.

Si sta tornando indietro a grandi passi a detrimento della democrazia, dello Stato di diritto, delle Istituzioni, sia nazionali che internazionali, ma soprattutto della decenza morale, della parità di genere e l’elenco sarebbe ancora lungo. Stiamo assistendo ad un cambiamento culturale rapidissimo dettato da un gruppo di bulli. È già diventato un piano molto inclinato, dal quale è difficile risalire e mantenere l’equilibrio. Il ricatto economico, i dazi sembrano essere l’arma di controllo per eccellenza.

Come si fa con i bulli, bisognerebbe ignorarli, non farsi intimidire, non mostrare paura, essere assertivi. Come cittadinanza, come Stato, come continente.

Non possiamo permetterlo, né come donne, né come uomini che ancora abbiamo una coscienza.

Articolo di Angela Andolfo Filippini, apparso sul Corriere del Ticino del 29 gennaio

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