L’interesse per la scuola è rinnovato: politici e giornalisti che a tutt’altro pensavano ora prendono posizione sui valori fondanti della scuola dell’obbligo. Ad aprire le danze le proposte del Plr, che senza vergogna dichiara guerra ai principi di inclusione, propugnando una revisione delle discipline, separando quelle “fondamentali” da quelle “hobbistiche”, risparmiando da una parte e spingendo dall’altra a privatizzare le attività espressive, culturali, artistiche, musicali, sportive. L’Udc non fa tappezzeria in questo gran ballo dove i concetti di educazione, competenze, valutazioni si mescolano a stantii principi d’istruzione, disciplina, rettitudine, trasformando il tutto in parole vuote, sradicate da un contesto che dia senso, addirittura riuscendo nell’assurdo di mescolare inclusione e integrazione. Nel caos musicale l’unico punto fermo è l’avversione per la diversità, la fragilità e la debolezza.
Poi, la goccia che è onda anomala per la sua inopportunità: sempre il Plr, per bocca della sua granconsigliera Simona Genini, chiede che “la scuola educhi alla gestione finanziaria dei propri soldi”. Ma lo sa, il Plr, cosa la scuola fa già? La prevenzione all’indebitamento è tema centrale del Piano di studio, dove uno dei contesti di Formazione generale si applica al tema economia e consumi, che nel concreto fa parte dei contenuti di Amministrazione e Ict, opzione di approfondimento in IV media, così come si attua in approfondimenti tematici svolti in vari ambiti. Ora, non ci si fraintenda: il tema è importante, attuale, scottante. Ma ritenere, ignorando ciò che già si realizza e chiudendo gli occhi di fronte ai risparmi imposti, che sia la scuola a doversene occupare è l’ennesimo gesto tracotante di chi ritiene che della scuola si possa parlare senza però sapere realmente cosa vi avvenga!
Che Udc e Plr riflettano sulla società in cui tutti siamo immersi, persone, istituzioni e scuola, e immaginino come modificare il contesto in cui stanno crescendo i nostri giovani: un contesto sempre più deprivato di ideali e spazi giovanili in cui fare esperienza libera di socializzazione e confronto, e che esalta invece solo competizione, riuscita e successo. Coloro che spingono per tornare a un modello scolastico selettivo fatto di corsie preferenziali, come se i talenti da sviluppare fossero cresciuti al punto da essere emergenza educativa, guardino oltre il proprio naso: nelle aule ogni giorno vediamo aumentare il numero di allieve/i in crisi perché, benché studiosi e intelligenti, non riescono a farsi ascoltare nelle loro emozioni e a soddisfare le aspettative delle famiglie. Da qui la crescita a dismisura di problemi psichici, alimentari, sociali: un turbine di solitudine e ansia che porta a un generale analfabetismo emotivo. Se non bastasse la testimonianza di chi con i giovani lavora e che vede le loro sofferenze e fragilità, non certo causate dal fatto di dividere il banco con compagni scolasticamente meno ferrati (anzi! Quanto risulta salvifica la condivisione delle proprie emozioni, paure, esperienze!), ecco a supporto la recente ricerca proposta dalla Protezione dell’infanzia svizzera: un bambino su cinque è vittima di violenza psicologica da parte dei genitori; ma già un paio di anni fa Pro Juventute aveva sottolineato come i giovani siano sempre più subissati di impegni che noi adulti carichiamo sulle loro spalle, ufficialmente per “regalare loro esperienze”, di fatto per occuparli il più possibile e lasciarci liberi di vivere la nostra vita in carriera. In risposta alle problematiche sociali sempre più marcate e per colmare le lacune del tessuto sociale aumentano i compiti attribuiti alla scuola: educazione alle scelte, educazione alla sessualità e all’affettività, educazione alla cittadinanza.
Intanto, la politica continua a pretendere nuovi contenuti, nuove materie, nuovi approcci, che meglio “preparino al mondo del lavoro”: la civica distinta come materia a sé, il tedesco in prima media, un ritorno ai livelli. Questa ostinazione a richiedere una scuola à la carte, personalizzata come se si scegliesse un prodotto al supermercato e come se anche l’intelligenza, lo spirito critico o la gentilezza si potessero comprare invece che educare, non fa del bene a nessuno. E ostinarsi oggi, quando la scuola, con tutte le criticità che conosce e che deve risolvere, nuovamente si trova privata di mezzi e risorse fondamentali, è un gesto quantomeno “mal-educato”. Come pretendere di ballare un valzer in un negozio di porcellane.
Articolo di Nina Pusterla e Paolo Calanchini, apparso su laRegione il 20 novembre