Il conto lo paga chi lavora (come al solito!)

Dunque ci siamo: è arrivato il conto. In anticipo salato e soprattutto al tavolo sbagliato: quello di chi lavora.

Sono di questi giorni due notizie.

Anzitutto le Ferriere Cattaneo hanno deciso di effettuare un taglio lineare fino al 7% degli stipendi dei propri dipendenti con la scusa del rafforzamento del franco. O così oppure si sbaracca e si delocalizza in Slovacchia. Giustamente i dipendenti riuniti in assemblea hanno deciso di rispedire al mittente quello che è in tutta evidenza solo un bieco ricatto.

Intanto alla Micromacinazione si chiede un sacrificio fino al 10% dello stipendio e per sovrapprezzo pure un aumento delle ore di lavoro e una diminuzione delle vacanze. La giustificazione è sempre la stessa: il cambio franco/euro. Anche alla Micromacinazione la risposta dei dipendenti non si è fatta attendere: non se ne parla.

È trascorso un mese dall’abbandono della soglia minima di cambio e siamo già al punto al quale temevamo di arrivare: bastonate ai lavoratori e alle lavoratrici.

In questi tre anni e mezzo le aziende hanno goduto di un tasso di cambio favorevole garantito dallo Stato perciò da tutti noi. Il senso di responsabilità avrebbe dovuto indurle a prepararsi all’uscita da questa condizione di favore perché era ovvio che non sarebbe durata in eterno. Avrebbero dovuto approfittare di questo privilegio offerto dalla collettività per studiare nuove politiche industriali per migliorare processi e prodotti per cercare nuovi mercati. Ma l’hanno fatto? Per niente. E ora che siamo tornati al cambio libero ci troviamo ai piedi della scala. Con il solito capro espiatorio: chi lavora

Capro espiatorio che oltretutto viene sacrificato prima ancora che il problema si manifesti davvero: non ci si venga a dire che nel giro di un mese le aziende sono già in crisi! Si preparano soltanto con queste misure preventive e tutte da giustificare. Misure che però sono ben reali sulla pelle dei dipendenti. E lo fanno col ricatto proprio come le Ferriere Cattaneo: se non accettate i tagli lineari lasciamo a casa un po’ di gente e sbaracchiamo andando in Slovacchia.

Queste misure pretestuose dimostrano tutta la fragilità dell’industria ticinese che barcolla al primo colpo di vento del mercato internazionale. E per tenersi in piedi che fa? Si appoggia sul bastone dei lavoratori e delle lavoratrici. Che però guarda un po’ guadagnano già in media il 15% in meno rispetto al resto della Svizzera. Perciò altri tagli e altri sacrifici vanno solo a raschiare il fondo del barile.

Poi magari verranno a dirci che loro i padroni delle ferriere amano il Ticino. O magari la Slovacchia? Ma va’ là: amano soltanto il loro portafoglio altroché.

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