Ci hanno definito una generazione egoista, egocentrica, impaziente di fronte ai ritardi e alle code. Una generazione rassegnata e priva di interessi, troppo digitale, dal clic facile. Io credo che, la mia, sia la generazione degli attacchi di panico, delle ansie, delle aspettative, delle giornate trascorse in movimento. Una generazione di piccole conquiste, dei lavori poco pagati, della non esperienza o della troppa esperienza, del troppo qualificato e del per nulla qualificato. Una generazione instabile, abituata alla precarietà e alla necessità del reinventarsi. Una generazione che ha smesso di farsi domande. Una generazione che, quando in coro ha posto delle domande, si è vista arrivare tante pacche di falsità sulle spalle e poi si è ritrovata ad ascoltare il silenzio di parole vuote di chi le risposte non le vuole dare, fermo congelato nellimmobilità che adesso contraddistingue la generazione che ci ha preceduto.
Bisogna capire che questo lockdown, questa situazione legata alla pandemia, è stata devastante. Una vera e propria batosta. Dobbiamo riemergere da una situazione che ci ha lasciato a piedi, che ci ha tolto quasi tutto, a volte anche la voglia di stare insieme. Sono in molti ad avere la sensazione di non avere più uno scopo, di non capire il proprio futuro. Camminiamo su un filo sottile dal quale potremmo cadere a ogni passo. Siamo schiacciati dalle aspettative di chi non ha capito che i ritmi sono cambiati, schiacciati dal pensiero che a 30 anni non possiamo nemmeno permetterci di sognare di avere una famiglia. Schiacciati dal barcamenarsi fra più lavori con lincertezza del futuro. Sempre che un futuro potremo ancora averlo, o un lavoro. Siamo una generazione a cui manca il «senso», una mancanza profonda che è sintomo di una profonda crisi dellessere umano, che rischia di lasciarci senza nemmeno più la forza di guardare in prospettiva. Senza nemmeno più la forza di seminare per poi affrontare il ben più duro lavoro della raccolta.
Penso sia giunto il momento, da parte della politica e da parte della società, di dare vere risposte alla mia generazione. Vere prospettive, opportunità, speranze. Perché la nostra non è la generazione degli egoisti egocentrici. La nostra è la generazione dei lottatori che si aggrappano con le unghie e con i denti allincertezza di certe speranze sperando possano portare a un ramo cui aggrapparsi, per poter dire, forse, «questa volta posso restare aggrappato e riprendere fiato». Ci sta mancando il fiato per lottare. Il nostro è un grido di aiuto che, finalmente, dovrebbe essere ascoltato. Per una volta seguito poi da una risposta vera.
* copresidente del Comitato cantonale del PS, articolo apparso sul Corriere del Ticino il 5 giugno 2020