Freno all’indebitamento da ripensare

Gli ultimi dibattiti sui Preventivi della Confederazione, caratterizzati da risparmi e tagli sul personale, sugli investimenti nella ferrovia, nel trasporto pubblico regionale e nell’aiuto allo sviluppo, hanno evidenziato come le clausole del Freno all’indebitamento, in vigore dal 2003, si stiano dimostrando sempre più strumenti per limitare l’azione dello Stato. In effetti si son resi necessari tagli anche per compensare l’aumento della spesa di 530 milioni per l’esercito voluto dalla maggioranza di centrodestra. Un aumento anacronistico: proprio quando l’esercito russo è più debole che mai a seguito dell’ingente dispendio di materiale da guerra e tragiche perdite di uomini, spesi per arrivare a occupare in tre anni il 20% dell’Ucraina. Inoltre, le recenti difficoltà e goffaggini gestionali in diversi programmi d’armamento e nell’informatica dell’esercito elvetico gettano forti dubbi sull’opportunità di aumentare la spesa militare che, secondo quanto già deciso, crescerà ancora nei prossimi anni fino a raggiungere l’1% del Pil, richiedendo futuri nuovi tagli in altri settori.

Difetti tecnici limitanti

Il Freno all’indebitamento oltre a essere applicato rigidamente dal centrodestra, comporta dei difetti tecnici. Ricordo che nel Messaggio sul Freno all’indebitamento il Consiglio federale affermava che “il freno all’indebitamento non ha lo scopo di eliminare i debiti della Confederazione… il suo obiettivo principale è la stabilizzazione di questi valori”. Tuttavia il debito netto è sceso da 124 miliardi nel 2003 a 97 miliardi nel 2019, poi la crisi Covid l’ha riportato a 121 miliardi di franchi. Questo è possibile perché se una spesa preventivata non viene effettuata essa non può essere riportata all’anno successivo e genera un avanzo d’esercizio che riduce il debito pubblico. Inoltre il Freno all’indebitamento calcola le uscite complessive inserendo la spesa per investimenti nella spesa ordinaria. L’utilizzo dei fondi preposti agli investimenti più importanti produce un ammortamento immediato.

Debito pubblico minimo

La realtà è che abbiamo un debito per rapporto al Pil tra i più bassi al mondo, oggettivamente l’entità del debito è irrisoria, le uscite nette a titolo di interessi ammontano a 0,8 miliardi sugli 86 miliardi del budget federale (0,9%). E a fronte di 121 miliardi di debito pubblico netto abbiamo in contropartita importanti infrastrutture, ad esempio quelle ferroviarie per un valore di 160 miliardi e le strade nazionali per altri 140. Chi insiste che non dobbiamo lasciare debiti alle prossime generazioni dimentica che gli investimenti vengono fatti guardando al futuro e che abbiamo un patrimonio di infrastrutture federali di qualità che solo per la mobilità e i trasporti valgono 2,5 volte il debito pubblico. Quindi includere gli investimenti nella spesa soggetta al freno, è andare ben oltre lo scopo della misura.

Nel Preventivo 2025 si inizia a colpire gli investimenti nel settore ferroviario quando invece dovremo aumentarli, come altri che verranno per la transizione energetica o la protezione del territorio ai cambiamenti del clima.

Freno agli investimenti

Frenare gli investimenti in infrastrutture o nella ricerca, questo sì che rappresenterebbe un debito che lasceremmo alle prossime generazioni. Oltre a crescenti investimenti infrastrutturali, in futuro dovremo considerare maggiori spese per la salute pubblica, che grazie agli sviluppi della medicina ma anche all’evoluzione demografica incideranno in modo insopportabile su una crescente parte della popolazione. Dall’introduzione del Freno all’indebitamento nel 2003 sono passati oltre 20 anni, la società e l’ambiente sono in forte e rapida trasformazione, lo Stato dovrà assumere nuovi oneri che l’attuale sistema non permette; per farvi fronte, oltre a correggere le clausole sull’indebitamento si dovranno trovare nuove entrate e non continuare come finora con sgravi a imprese e capitale, e aumenti dell’Iva.

Articolo di Bruno Storni, consigliere nazionale, pubblicato su laRegione del 15 gennaio

 

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