Energia nucleare moderiamo i (turbo)reattori

Su queste pagine, lo scorso 29 gennaio e solo 3 mesi dopo un primo articolo analogo che iniziava allo stesso modo “Quando nel 2017… voto Strategia Energetica 2050… “, Piero Marchesi ripete la vecchia litania sul sacro nucleare, senza il quale è in pericolo l’approvvigionamento energetico della Svizzera che diventerebbe dipendente dall’Ue, accusando di estremismo chi non la pensa come l’Udc.

Per la cronaca oggi l’80% dell’energia che consumiamo in Svizzera è importata (gasolio, benzina, gas, uranio), mentre la produzione nucleare dall’uranio importato copre il 10% del nostro fabbisogno energetico.

Si ipotizza una teorica situazione di scarsità dovuta al mancato Accordo istituzionale con l’Ue che nel 2025 attiverà il nuovo regolamento “Clean Energy Package” che regola l’uso delle linee di trasporto transfrontaliere.

Ma poi si parla di nuovo nucleare di quarta generazione, che sappiamo non potrebbe produrre prima del 2040, ma tutto fa brodo…

Ci ricorda quando nel 2008, a gran voce, i medesimi ambienti sventolavano lo spauracchio di un’ipotetica “stromlücke” (scarsità di elettricità), che si sarebbe potuta evitare solo con nuovo nucleare. Bkw Axpo Alpiq investirono non poco per progettare e presentare le richieste di autorizzazione di massima alla Confederazione per tre nuovi reattori nucleari per una potenza totale di oltre 4 GW in sostituzione dei 3 GW allora in esercizio.

Le tre richieste di autorizzazione di massima sono poi state cestinate perché il Consiglio federale nel 2011 fermò i progetti di nuove centrali nucleari, decisione poi confermata dal popolo nel 2017 con la Strategia Energetica 2050, centrali che comunque non sarebbero mai andate in cantiere perché non finanziabili. Sappiamo poi anche delle decine di miliardi che le grandi Axpo-Alpiq-Bkw hanno perso nell’ultimo decennio per la forte crescita del mercato fotovoltaico in Europa e la liberalizzazione del mercato elettrico.

Oggi le tre aziende ammettono che nuove centrali nucleari in Ch non sono finanziabili.

Dai tempi della “stromlücke” e le tre domande di autorizzazione, la Svizzera è cresciuta di 1,1 mio abitanti, sono stati costruiti 700mila nuovi alloggi con relativi elettrodomestici forni e piastre, lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie ecc., installate 250mila pompe di calore, messe in circolazione 100mila automobili elettriche, siamo tutti iperconnessi con 8 mio di telefonini dotati di supercalcolatore, consumiamo 30mila volte più dati attraverso complesse e capillari reti di telefonia cellulare, eppure il consumo totale di energia elettrica in Svizzera è rimasto quello del 2008, cioè attorno ai 57 TWh. Quindi nessun aumento esponenziale come sovente paventato dai catastrofisti e futurologi di turno.

Anzi ancora negli anni 2020-21 abbiamo avuto un esubero di energia elettrica (bilancio export/import positivo), questo malgrado la chiusura della centrale nucleare di Mühleberg, decisa dalla Bkw per gli elevati costi che avrebbe comportato la messa in sicurezza, quindi non imposta dalla Confederazione: dov’erano i finanzieri che scommettono sul nucleare?

Lo scenario “stromlücke” del 2008 era frutto di valutazioni che semplicemente proiettavano linearmente il passato nel futuro senza considerare lo sviluppo tecnologico sempre più improntato all’efficienza e all’uso intelligente delle risorse. Il nuovo mantra di Marchesi, “resteremo al buio”, non è che la ripetizione dell’errore del 2008.

Di nuovo c’è che da allora è finalmente diventato serio il tema “decarbonizzazione”, e quindi una maggior elettrificazione, chiaramente una sfida per la quale si lavora e si fa anche ricerca. Deve però risultare chiaro l’asse temporale: l’obiettivo dello zero CO2 nel 2050 non significa che l’anno prossimo le 4 mio di auto a benzina saranno sostituite da auto elettriche.

Con questo non voglio escludere il potenziale di nuovo nucleare di quarta generazione (quando ci sarà e se manterrà le promesse di sicurezza e di scorie minime): in Parlamento abbiamo votato la partecipazione svizzera ai programmi di ricerca Euratom e Itar. Non esiste quindi nessun divieto tecnologico, ma la transizione energetica si svilupperà ben prima della disponibilità del nucleare di quarta generazione, con altri vettori rinnovabili meno costosi che già abbiamo, con nuove tecnologie di stoccaggio e con reti intelligenti che dobbiamo sviluppare.

Articolo di Bruno Storni, consigliere nazionale PS apparso su La Regione il 18 febbraio 2022

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