Discorso di Alberto Nessi al Congresso elettorale del 13 novembre 2022

Care compagne, cari compagni,

permettetemi di rivolgermi a voi con questo appellativo affettuoso, in tempi bui. Io non ho tessera di partito (l’ho avuta dal 1962 al 1968, come membro del Partito socialista svizzero, sezione di Chiasso)  ma continuo a essere socialista. Mi riconosco  nell’umanesimo socialista  che crede in una società di donne e uomini non alienati e schiavi delle cose, ma liberi e ricchi di valori spirituali, capaci di trascendere i localismi, di affrontare i problemi come “cittadini del mondo”. Però, quando ho ricevuto l’invito ad aprire questo congresso, ho avuto qualche dubbio: non sono forte nell’arte del discorso pubblico. Ho deciso di dire sì quando ho capito che qualcosa d’importante si profila all’orizzonte: la volontà di allargare l’identità del partito, aprendola al futuro. La decisione di coniugare l’attenzione per la questione sociale, come si diceva una volta, con la questione ambientale, di cui si parla ogni giorno. Solo così, secondo me, si potrà arrivare a un vero progresso, non basato sui soldi ma su relazioni sociali caratterizzate dalla solidarietà.

La vita non è un gioco

sul serio prendila,

come fa uno scoiattolo, ad esempio…

Sono i primi versi di una poesia di Nazim Hikmet – poeta turco del Novecento che passò sedici anni in carcere per la sua opposizione al regime di allora. La poesia  termina così:

Prendila sul serio,

sul serio a tal punto

che a settant’anni, ad esempio, tu possa piantare ulivi

non perché restino ai tuoi figli

ma perché alla morte non crederai

pur avendone terrore

perché la vita avrà ancora più peso sulla bilancia.

 Io ho più di ottant’anni ma il desiderio di piantare alberi ce l’ho ancora. E credo ancora che la parola del fratello sia il fondamento della mia parola. Piantare ulivi per incrementare la speranza: una virtù che da sempre appartiene al nostro patrimonio culturale. Tanto più oggi che il mondo vegetale, al quale l’ulivo dà una nota di nobiltà, mostra sempre più chiaramente la sua importanza per la nostra sopravvivenza.

    Però se penso alla letteratura di lingua italiana, la prima pianta che mi viene in mente non è l’ulivo, ma la ginestra: la ginestra di Giacomo Leopardi , il “fior gentile” che resiste alla desertificazione provocata dal Vesuvio, nel luogo dove il poeta scrisse la  poesia intitolata La ginestra o il fiore del deserto.

   Anche la poesia, come la ginestra, resiste al male. O almeno, così ci illudiamo. E d’altronde, cos’è la vita se non illusione? I poeti sono frustrati perché nessuno li legge. Anche i socialisti sono frustrati, perché pochi li votano. Vedete che c’è qualcosa che unisce poesia e socialismo: li unisce la voglia di far fiorire il mondo, nonostante tutto.

   Ho citato  Leopardi anche per dire della luce che potrebbe risplendere nelle opere letterarie, se fossero lette. La sinistra , ricca della sua storia di lotte alle  disuguaglianze sociali, allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e ai soprusi, deve aprirsi  di più alla cultura: cultura intesa come arma  per la formazione della coscienza, non come fiore all’occhiello dei ricchi. Josif Brodskij, nel suo discorso per il Premio Nobel ha detto: “…se scegliessimo i nostri governanti sulla base della loro esperienza di lettori, e non sulla base dei loro programmi politici, ci sarebbe assai meno sofferenza sulla terra.

    La  poesia non è un passatempo, ma una ragione di vita per chi la scrive e un nutrimento dello spirito per chi la legge. Ve lo dice uno che discende da un nonno analfabeta, il quale all’osteria sapeva cantare, storpiando le parole, arie d’opera come il Nabucco. Aveva cominciato a lavorare presto, nonno Vicenz, il padre di mia madre, indotto dalla miseria d’inizio secolo a sacrificare l’infanzia e a disertare la scuola. Ma per me, ragazzo che annusava la letteratura, era più bravo  di tutti i  neorealisti, perché mi raccontava storie di contrabbandieri. E io come scrittore, anche oggi quando scrivo me lo vedo alle spalle, nonno Vicenz, che mi dice: “Attento,  stai scrivendo anche per me! “

   Tre sono  i principali diritti sociali rivendicati da sempre dal movimento socialista:, il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione, il diritto alla salute. Tre diritti intesi a rendere meno grande la disuguaglianza tra chi ha e chi non ha. Ma non solo questi diritti  dobbiamo difendere. Dobbbiamo difendere anche la gentilezza: oso pronunciare questa parola, anche se può sembrare eretica. Ricordo un vecchio compagno di Mendrisio che diceva: –  Il socialismo è anche gentilezza. Una frase che  sembra inventata, nel nostro mondo involgarito, imbarbarito, rozzo, litigioso. Ma attenzione: gentile non vuol dire  sottomesso, remissivo, debole. Anzi. La gentilezza, come la mitezza,  è una virtù forte. Così come il tralcio di vite è gentile e, insieme, forte. Ed è con forza che i socialisti, moderati o radicali, devono difendere i più deboli. Difenderli concretamente, stare vicino a loro.

   Certo, Bertolt Brecht direbbe che in tempi bui non si può essere gentili e non si può parlare di alberi. Ma perché no, mi chiedo? Forse che la bellezza non dovrebbe essere un valore per tutti? Forse che una foglia non è più bella del viso di un uomo armato o iroso? La storia è seminata di morte  e la violenza non ha mai cambiato nulla. Per cambiare il corso della storia dobbiamo cambiare noi stessi, prima di tutto. Se vogliamo raddrizzare “il legno storto dell’umanità”, dobbiamo diventare belli dentro. Belli e combattivi. Un personaggio di Anton Cechov dice: “In un essere umano tutto dovrebbe essere bello: il viso, i vestiti, l’anima, i pensieri.”

   La vera novità, oggi, qui, è la collaborazione con un partito che manifesta una specifica attenzione per l’ambiente. Una novità che cambia, arricchendolo, lo spirito del socialismo tradizionale. In questi anni sono stati pubblicati molti libri sul mondo vegetale. E pochi anni fa la Svizzera – prima nazione al mondo – ha riconosciuto i diritti delle piante: da loro dipende la nostra esistenza sulla Terra.

    Naturalmente amare la natura non vuol dire trascurare la società, anzi: il nostro  movimento  mette al centro dei suoi interessi l’uomo alienato dalla società capitalistica. Ma oggi abbiamo capito che non possiamo lottare per la giustizia sociale senza unire questa lotta con quella per un ambiente vivibile. La natura ci insegna a ridimensionare la nostra pretesa di essere gli unici esseri degni di nota e, nel contempo, dovrebbe indurci ad amare gli altri e a combattere il male: il razzismo, i nuovi fascismi che si manifestano, con fisionomie cambiate, in tutto il mondo. La destra, anche in Svizzera, vuole una società di disuguali: Lugano è un covo di ultramilionari (e, nel contempo, è la tomba della cultura alternativa giovanile, caso unico in Svizzera). Un sociologo, George Benko, ha detto che “escludere persone  in quanto estranei, perché non siamo più capaci di concepire l’esistenza di un Altro, è il sintomo di una patologia sociale”.

    Noi socialisti, con o senza tessera, vogliamo che gli esseri umani siano uguali davanti a diritti e doveri. Non è mio compito entrare nei dettagli del come fare, e d’altronde non ne ho la competenza. Io sono homo poeticus. E per questo vorrei terminare il mio discorso con una poesia. Prima però desidero rivolgermi a voi con un invito:  non perderdetevi in litigi, non ripetete gli errori del passato, le scissioni, i personalismi:  puntate al concreto. Perché i più deboli capiscano che siamo dalla loro parte. Da voi, compagni, oggi ci si aspetta  una parola forte e unitaria.

Ecco la poesia:

Non dire    (da Ladro di minuzie )

Non dire fuoco se l’edera a settembre

non porta una farfalla con ali di fiamma

sui fiori dove le api bottinano

tra foglie a cuore arrampicate ai muri

 

non dire pioggia se la chiocciola tace

lungo i sentieri dell’adolescenza,

se i morti sono travolti dalla foschia

della dimenticanza come da una frana di sassi

 

non dire autunno se nessuno risponde

nell’azzurro riquadro della finestra,

se muto è ogni tamburo nella notte

dei sogni, se gli uccelli sono partiti

 

non dire amore se la collina degli occhi

non riflette i vigneti e la rinascita

delle foglie che crescono dopo la cenere,

se prima di nascere il sorriso si spegne

 

non dire grazia se la perla dell’alba

non s’accende per tutti nel mattino,

se la speranza non offre un ramo saldo

a chi vaga smarrito nella nebbia

 

non dire patria se l’ombra della pietra

non offre asilo all’anima errante

di chi fugge da silenzi di morte

verso una parola che non mente

 

non dire cielo se gli uomini s’ammazzano

ancora e sempre sulle vie del mondo,

se la vita è uno straccio portato via

dal vento dell’odio e della follia

non dire niente se luce non splende.

Alberto Nessi

 

Alberto Nessi, novembre 2022

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