Difendere la Rete 2 e il servizio pubblico

Mi permetto di intervenire nel dibattito attuale, nato intorno al prospettato depotenziamento della Rete Due, soprattutto per sottolineare un aspetto importante della petizione che circola da alcuni giorni a sostegno della stessa. Ho infatti l’impressione che le molte e molte persone che, ad oggi, hanno aderito e firmato l’appello l’abbiano fatto non solo per difendere la Rete Due ma soprattutto per difendere il diritto all’approfondimento come tassello fondante della cultura.

Quando si firma la petizione, il nome, il cognome, l’indirizzo e-mail e il codice di avviamento postale sono inseriti con convinzione perché si ha l’impressione che i vertici della RSI, con questa proposta, stiano facendo traballare e scricchiolare uno dei tasselli cruciali del servizio pubblico. Le cittadine e i cittadini hanno il diritto, in base alla Concessione del Consiglio federale alla SSR, a un’informazione e ad una cultura di qualità, approfondita e misurabile. Perché non tutto deve essere offerto, nel servizio pubblico, in veste leggera e di evasione. Perché spetta al servizio pubblico saper affrontare e proporre anche temi seri e spinosi, a tutti i livelli e con il maggior numero di linguaggi e di visioni possibili. Perché al servizio pubblico spetta il compito di fornire gli strumenti per rafforzare la vita democratica, che è tale quando le persone hanno a disposizione e possono fruire di un giornalismo e di una cultura che si facciano tramite consapevole tra le diverse forme di preparazione culturale che osserviamo nella società. Il web e le nuove forme di fruizione sono certamente un luogo molto importante da esplorare (e spiace in tal senso che non lo si sia fatto con la necessaria convinzione già da tempo!). Ma la diffusione sul web e sui social della cultura non può e non deve obbligare il servizio pubblico di informazione ad abbandonare i vecchi vettori comunicativi, la radio e la televisione, poiché questi permettono ancora oggi, e i dati ce lo dimostrano, di raggiungere una larghissima fetta della popolazione. Il che si traduce nel fatto che se si deve investire per andare a intercettare quelle fasce di popolazione, soprattutto giovani, che hanno rinunciato ai tradizionali canali informativi non lo si deve fare a discapito delle colonne portanti di un servizio pubblico radiotelevisivo di qualità e cioè l’informazione e la cultura che, proprio perché elementi centrali del servizio pubblico di informazione, devono essere presenti su tutti i vettori. Una cosa, però, mi sembra chiara nella proposta avanzata di ridimensionamento della Rete Due: spostando la cultura sulla Rete Uno e sulla Rete Tre, il diritto all’informazione culturale di qualità non è più garantito, anche solo per ragioni di spazio, di sovrapposizioni, di bilanciamento tra ciò che queste reti devono accogliere per mandato, e cioè informazione, sport e intrattenimento, e la cultura stessa. Va allora sottolineato come la cultura in pillole non è cultura. Su questo credo non ci siano dibattiti possibili; venti secondi di servizio televisivo non potranno mai sostituire un dialogo tra esperti, anche se l’oggetto della discussione fosse il medesimo.

Il servizio pubblico, se vuole svolgere il proprio compito, definito anche dalla Concessione del Consiglio federale, che esplicita in modo chiaro la necessità di offrire l’approfondimento, deve avere il coraggio di usare le proprie risorse per offrire contenuti di spessore, che mirano alle intelligenze delle persone, alle coscienze, al desiderio di costruire valore, alla formazione.

Il tema quindi che si sta dibattendo in questi giorni non è prioritariamente o solamente la Rete Due, bensì la garanzia sulla qualità del servizio pubblico, che può rimanere alta solo se coloro a cui spetta il compito di decidere dimostrano per primi di saper distinguere tra indice di ascolto e mandato di servizio pubblico, solo se si dimostrano capaci di rispettare i tempi e i ritmi che un giornalista deve avere a disposizione per riuscire a pensare e a produrre un servizio chiaro, equilibrato, efficace e approfondito. Creare e battere le vie del web non solo non è sbagliato, è anzi assolutamente necessario, a patto che non lo si faccia a spese di quella parte del servizio pubblico che da anni promuove e valorizza la competenza e la preparazione come requisiti necessari per compiere il proprio mandato.

Articolo di Anna Biscossa, apparso sul Corriere del Ticino il 15 dicembre

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