Il declino demografico deve preoccuparci?

Con un comunicato pubblicato il 28 maggio l’Ufficio federale di statistica (UST) espone in questi termini le previsioni sull’evoluzione della popolazione nei prossimi 30 anni: «La popolazione residente permanente della Svizzera passerà dagli 8,7 milioni della fine del 2019 a 10,4 milioni nel 2050 con un aumento medio del 20,2%». L’aumento non sarà uniforme. Alcuni Cantoni, in genere quelli più ricchi e con città importanti come Zurigo e Ginevra, ma anche Zugo, aumenteranno del 30% circa, mentre due Cantoni – Ticino e Grigioni – vedrebbero la popolazione diminuire, del 5% il primo e del 4% il secondo. Le previsioni dell’UST confermano e amplificano la recente tendenza alla decrescita della popolazione ticinese, che si è manifestata la prima volta nel 2017, per continuare nel 2018 e nel 2019. Una decrescita che aveva suscitato sorpresa perché la popolazione del cantone dal 1900 al 2016 era sempre aumentata con un ritmo medio dello 0.8% all’anno (con una punta negli anni Sessanta del 2,5% all’anno) passando dai 138.638 abitanti del 1900 ai 354.375 del 2016. Uniche eccezioni il 1918 quando la “spagnola”, in rapporto alla popolazione residente, fece in Ticino più di 10 volte i morti oggi attribuiti al coronavirus, e il 1996 (-371) quando la Svizzera era confrontata con le difficoltà economiche che fecero seguito, prima della firma degli Accordi bilaterali I del 1999, alla bocciatura in votazione popolare nel 1992 dello Spazio economico europeo.

Si sarebbe quindi potuto supporre che i dati negativi del 2017/2018 rappresentassero ancora una volta una eccezione dovuta a ragioni contingenti da analizzare, anche perché lo scenario di riferimento della popolazione residente permanente del cantone, pubblicato sull’Annuario 2020 dell’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) apparso poche settimane fa, prevede ancora un aumento della popolazione ticinese di 51.238 abitanti dal 2019 al 2040 (+14% pari a un incremento medio dello 0,6% annuo). Secondo il comunicato stampa dell’UST invece i dati del 2017/18 non saranno un’eccezione, ma l’inizio di un periodo di declino demografico del Ticino. Il comunicato dell’UST finora non ha sollevato nessun dibattito, né a livello dei media, né a livello della politica. Ma le nuove, per un certo verso sorprendenti previsioni dell’ Ufficio federale, devono preoccuparci? Se consideriamo la probabile permanenza delle cause e le possibili conseguenze credo di sì. In uno studio dello scorso anno sull’evoluzione della popolazione cantonale Elio Venturelli ha esaminato tra le altre cose l’andamento per il Ticino delle tre cause che condizionano l’evoluzione demografica di un cantone: il saldo naturale, il saldo migratorio con gli altri cantoni e il saldo migratorio con l’estero. Queste tre componenti sono state oggetto anche di alcune pubblicazioni interessanti e molto dettagliate dell’USTAT nel 2018, ma nessuno finora nel cantone ha mai ipotizzato un’involuzione demografica a lungo termine così pesante come quella proposta nel comunicato dell’UST.

Ma vediamo quali sono i dati più recenti delle tre variabili. Il saldo naturale (differenza tra nati vivi e morti in un anno) in Ticino era di molto inferiore alla media svizzera già all’inizio del secolo scorso (cfr. Rosario Talarico: L’igiene della stirpe nella Storia del Canton Ticino). È poi diventato fortemente positivo negli anni del baby boom (+18.397 dal 1960 al 1980) con un saldo medio di quasi +900 all’anno) , per poi scendere progressivamente negli anni successivi (circa +3.900 tra il 1981e il 2010 con una media di +130 all’anno) e diventare sempre più pesantemente negativo a partire dal 2011 (-2.644 dal 2011 al 2019 con una media di -294 all’anno, e -1.696 solo negli ultimi 3 anni). A causa dell’invecchiamento della popolazione il numero di decessi sta aumentando e continuerà ad aumentare con maggiore intensità, mentre le nuove nascite rimangono costanti a livelli molto bassi (circa 2.500 all’anno) con un tasso di natalità (numero di nascite ogni mille abitanti) che è sceso dal 16,0 negli anni del baby boom a 9,88 nel 2000 e a 7,23 nel 2018 (la media svizzera nel 2018 è di 10,8, quello dell’UE di 10,1 e quello di alcuni importanti Stati africani sfiora il 50!). È certamente anche questo crollo del tasso di natalità in Ticino ad avere influenzato le previsioni dell’ UST. Tasso di natalità che sarebbe ancora più basso se riferito alla sola popolazione svizzera.

Il saldo migratorio con gli altri cantoni, positivo per molti anni (media dal 1990: +500 all’anno), dal 2011 è diventato negativo in termini crescenti, con una media negli ultimi 5 anni di 800 persone in più che lasciano il Ticino per altri cantoni rispetto a quelli che vengono da altri cantoni ad abitare qui. Il nuovo fenomeno è stato analizzato dall’USTAT in una pubblicazione del 2018 con la conclusione che si tratta spesso di giovani svizzeri con formazione terziaria in cerca altrove di un posto di lavoro interessante. Anche un’altra pubblicazione USTAT relativa ai ticinesi che concludono la loro formazione terziaria in altri cantoni indica che solo il 40% di loro rientra in Ticino alla ricerca di un posto di lavoro.

Il saldo migratorio con l’estero che, per il cantone, ha rappresentato per anni il compenso al bassissimo tasso di natalità con un saldo positivo medio di 3.000 persone all’anno per la maggior parte comprese nella fascia di età tra i 20 e i 40 anni, nel 2017/18 è improvvisamente crollato a -232 (17) e + 153 (18) diventando così la causa principale della diminuzione della popolazione. È possibile che questo fenomeno sia da attribuire anche a un clima in Ticino non accogliente nei confronti degli stranieri (soprattutto degli italiani) e al ruolo dei frontalieri nell’occupare i posti di lavoro, non coperti dai residenti, con salari bassi, che possono però approfittare dei vantaggi fiscali e di un costo della vita molto più basso in Italia. Il clima non accogliente contrapposto a momenti di generosa apertura (accoglienza dei patrioti del Risorgimento e, più recentemente, degli antifascisti) è un aspetto ricorrente della breve storia del nostro cantone. A questo proposito ancora Rosario Talarico nel capitolo citato sopra della Storia del Cantone Ticino (pag. 459) afferma «il flusso migratorio contribuì a rendere meno asfittica l’evoluzione demografica ticinese (…) ma questo “inforestieramento” suscitava preoccupazioni all’interno della compagine indigena in quanto si riteneva fosse minacciata non solo l’identità culturale, ma anche la conservazione fisica e la purezza etnica» (sic). Eravamo nella seconda metà degli anni Venti del secolo scorso. Oggi il linguaggio è evidentemente diverso, ma la natura di certi sentimenti sembra la medesima.

I dati storici delle tre variabili rendono quindi credibili le previsioni dell’UST di un’importante diminuzione della popolazione del cantone. Credo che sarebbe opportuno discutere con l’UST delle ragioni delle loro inattese pessimistiche previsioni. Perché, se una progressiva riduzione del tasso di crescita della popolazione residente fino a una sua stabilità potrebbe essere auspicabile, il passaggio improvviso dalla crescita alla decrescita della popolazione residente potrebbe avere conseguenze indesiderate.

Come è noto il Ticino ha la percentuale di popolazione maggiore di 64 anni (potenzialmente pensionata) in rapporto alla popolazione potenzialmente attiva (15-64 anni) più alta della Svizzera (35,2%, contro il 27,8% della media svizzera). Questo significa che oggi meno di tre persone che lavorano contribuiscono in Ticino a finanziare una pensione. Questa percentuale, secondo le previsioni di evoluzione della popolazione pubblicate nell’«Annuario statistico 2020» dell’USTAT, diventerebbe del 49% nel 2040 (due che lavorano per ogni pensionato), ma peggiorerebbe ulteriormente se si verificassero le previsioni annunciate dall’UST nel comunicato stampa del 28 maggio scorso. Senza l’apporto di persone giovani residenti garantito finora dall’immigrazione e pur tenuto conto del contributo alle assicurazioni sociali dei frontalieri, la situazione a livello pensionistico e assicurativo arrischia di diventare insostenibile o, comunque, tale da richiedere riforme strutturali politicamente difficili da realizzare. Bisogna poi tenere conto dei costi sociali e sanitari di un’evoluzione demografica come quella descritta dall’UST, costi che graverebbero in modo importante ancora sulle assicurazioni sociali e sulla casse del Cantone.

L’edilizia privata negli ultimi 5 anni ha investito in media ogni anno circa 1,5 miliardi nella costruzione di abitazioni. Un importo che oscilla tra il 5% e il 6% del PILcantonale. Ogni anno in media venivano costruiti 2.200-2.500 nuovi alloggi. Dei circa 240.000 alloggi esistenti nel 2017 circa 60.000 erano residenze secondarie, circa 5.000 erano vuoti, mentre 175.000 erano residenze primarie che ospitavano in media 2 persone per alloggio (erano 2,9 nel 1970!), quindi tutta la popolazione residente del cantone di circa 350.000 persone. Si tratta di numeri indicativi, ma significativi. Ora se la popolazione residente dovesse diminuire nei termini previsti dal l’UST (- 18.100 abitanti residenti entro il 2050) è evidente che la necessità di nuovi appartamenti per la popolazione residente diventerebbe prossima a zero, mentre la costruzione di nuove residenze secondarie sarebbe ostacolata dalla legge Weber. Pur con il rimedio di importanti lavori di ristrutturazione degli edifici esistenti si preannuncerebbero anni difficili per uno dei settori portanti dell’economia ticinese, l’edilizia. D’altra parte una significativa diminuzione della popolazione avrebbe un effetto negativo non solo sull’edilizia, ma su tutti i consumi. Infine il buon senso e l’esigenza di un uso razionale del territorio richiederebbero una revisione generale dei piani regolatori basati su una ben diversa evoluzione demografica.

La percentuale della popolazione residente del Cantone rispetto alla popolazione della Confederazione scenderebbe dal 4,1% al 3,2%. Non conosco i dati relativi all’evoluzione della popolazione residente di nazionalità svizzera dai quali dipende il numero di seggi del Cantone al Consiglio nazionale, ma siccome l’importanza di una realtà è data anche dai numeri (per fortuna non solo dai numeri) è probabile che il Ticino a Berna, non nelle parole, ma nei fatti, conterà un po’ di meno.

Una diminuzione non controllata della popolazione non è un bene. «È ora di ridiventare un Cantone attrattivo e che sappia accogliere nuovi residenti (…), abbiamo bisogno anche di nuove famiglie che contribuiscano alla crescita demografica del nostro Cantone» scriveva il 27 giugno scorso un operatore economico su questo giornale. Credo che quell’auspicio sia di interesse generale. Non solo per gli operatori economici, ma per le potenzialità di benessere di tutta la popolazione e per il livello della nostra socialità. Siccome, considerate le cause, la riduzione ipotizzata dall’UST non sembra fuori luogo, credo che la politica dovrebbe preoccuparsi di conoscere le ragioni delle previsioni dell’UST, valutarle criticamente con la collaborazione dell’USTAT (un recentissimo studio pubblicato sulla rivista «Dati» dell’USTAT analizza in dettaglio importanti aspetti del fenomeno migratorio) e studiare le misure necessarie per invertire la nuova tendenza e contrastarne le conseguenze negative. Misure che dovrebbero interessare l’aggiornamento delle Linee direttive, il Piano direttore come pure i piani regolatori in vigore.

Articolo di Pietro Martinelli, già Consigliere di Stato, apparso sul Corriere del Ticino, 10 e 11 luglio 2020

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