Dalle candele all’elettricità

La politica energetica del nostro Paese è entrata in forte fibrillazione nel secondo semestre dello scorso anno. Ma gli inizi dell’aritmia si manifestarono già nel 2021 quando il consigliere federale Parmelin si recò a Bruxelles per informare l’Ue che il capitolo ‘nuovo Accordo Quadro Istituzionale’ per la Confederazione era chiuso, decisione che precludeva qualsiasi possibilità di negoziare un accordo sul mercato elettrico con l’Ue e indirettamente la garanzia formale di importare elettricità secondo il nostro fabbisogno.

E subito arrivò l’Udc con la richiesta di riaprire al nucleare per garantirci l’autosufficienza e non dover contare sugli umori Ue, che avviò la campagna “fallimento strategia energetica 2050” e susseguenti attacchi alla consigliera federale Simonetta Sommaruga con richiesta di toglierle il Datec e nominare un generale per l’energia.

Intanto il prezzo del gas saliva per la forte ripresa economica post-Covid, poi per la guerra in Ucraina e il nucleare francese a metà esercizio. Ma a far scattare definitivamente il panico ci ha pensato il presidente dell’Elcom Werner Lüginbühl quando nella Nzz am Sonntag d’inizio agosto 2022 ipotizzava seriamente penuria di elettricità nel prossimo inverno e possibili razionamenti consigliando di far scorta di candele e legna da ardere! Il Consiglio federale, ma anche le Camere partirono in quarta con tutta una serie di misure più o meno sensate e sempre più costose (ma chi voleva rischiare di nuovo, solo due anni dopo che il Paese si era venuto a trovare senza mascherine, materiale di protezione ed etanolo). Così a settembre il governo pubblicò l’ordinanza per la riserva idroelettrica acquistata all’asta in ottobre per 300 milioni (75 cts/kWh), per mantenere una certa quantità di acqua nei bacini a fine inverno. Di fatto abbiamo riserve per 300 milioni, il 5,7% del volume dei nostri bacini.

La fibrillazione raggiunse il picco con la decisione del Consiglio federale di ordinare una centrale elettrica con 8 generatori a gasolio o metano a Birr (Ag) per 480 milioni di franchi, realizzata in pochi mesi in diritto d’urgenza (senza possibilità di opposizioni o ricorsi) e terminata da poche settimane. Inoltre sono state riservate centrali a gas/olio leggero a Cornaux (Ne) a Monthey (Vs) e riservati gruppi elettrogeni di emergenza e di cogenerazione fino al 2026 per costi oltre il miliardo.

Intanto a inverno ormai terminato abbiamo i bacini al 30%, il doppio della media pluriennale, sicuramente grazie alle campagne di risparmio e all’inverno mite che hanno ridotto da ottobre di circa il 10% i consumi di energia elettrica, ma anche grazie alla crescente produzione di nuovo rinnovabile in Svizzera e in Europa dove, come prevedibile, il vento soffia forte in inverno e produce ingenti quantitativi di elettricità riducendo la richiesta di produzione da gas e carbone e riportando i prezzi ai livelli precedenti alla guerra in Ucraina.

Insomma: in pochi mesi siamo passati dalle scorte di candele a spese miliardarie per vari tipi di riserve che non utilizzeremo, ma ci verranno rifatturate sulle bollette dell’elettricità nel 2024 con un aumento di 1,2 cts/kWh alla nuova voce Swissgrid riserve invernali.

Per il futuro e per limitare fibrillazioni, è riuscita seppure in seconda battuta la mia mozione che chiedeva che la riserva idroelettrica diventasse obbligatoria a prezzi corretti, e non acquistata all’asta a prezzi di mercato europeo. Dopo il diniego del Consiglio federale, l’obbligo è stato ripreso dalla Commissione dell’energia e inserito nella Legge sull’Approvvigionamento Elettrico, art 8a: “Alla costituzione della riserva partecipano obbligatoriamente i gestori di centrali ad accumulazione di grandi dimensioni che costituiscono riserve di acqua… con un indennizzo forfetario moderato”, approvata dal parlamento in marzo. Eviteremo così dall’anno prossimo di pagare una seconda volta i nostri bacini di accumulazione costruiti nel secolo scorso proprio per avere elettricità anche d’inverno.

Articolo di Bruno Storni apparso su La Regione

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