Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un inasprimento delle politiche migratorie. Unapplicazione e interpretazione eccessivamente restrittiva di alcune normative ha portato alla precarizzazione di molti cittadini, in particolare titolari di permesso B, che spesso e volentieri rinunciano a richiedere aiuti cui avrebbero accesso per timore di una revoca del permesso di soggiorno. Persone con lavori precari, salari molto bassi, che cercano di vivere stabilmente in Svizzera e nel nostro Cantone non per, come vorrebbe farci credere qualcuno, depredarne le risorse, ma bensì perché vedono nel nostro paese la possibilità di una vita migliore. Cittadini integrati che fanno parte della comunità e che si ritrovano a dover fare i conti con un mercato del lavoro sempre più precario che trae profitto da situazioni di difficoltà. Infatti, il non poter usufruire di un possibile aiuto, spinge questi lavoratori e lavoratrici ad accettare lavori con paghe che non permettono unesistenza dignitosa. Situazioni che nella peggiore delle ipotesi sfociano nellofferta di lavori in nero.
Un clima ostile accentuato ancor di più dalla modifica di legge sulle naturalizzazioni approvata dal Gran Consiglio nellultima legislatura. Infatti, dal 2020 chi vuole richiedere la naturalizzazione non può aver beneficiato nei dieci anni precedenti di aiuti dellassistenza sociale. Una norma questa molta più rigida rispetto a quella Federale che pone il limite a tre anni. Questo tipo di atteggiamento da parte delle autorità e degli organi politici non fa che sfavorire i processi dintegrazione e porta a una disaffezione dei cittadini verso lo Stato. In una Svizzera già denunciata da un recente rapporto Onu di razzismo sistemico è necessaria più che mai oggi, uninversione di rotta. Serve una politica migratoria più aperta che tenga conto delle particolarità di ognuno accompagnata da unagire istituzionale che tuteli davvero tutti i cittadini, senza distinzioni. Agevolando quanto più possibile i processi di naturalizzazione e sostenendo lintegrazione anche delle fasce più povere della popolazione. Serve quindi un approccio differente e una ferma volontà istituzionale, nel voler far sentire a casa coloro che compiono una scelta coraggiosa come quella di lasciare il proprio paese dorigine. Azioni concrete dintegrazione, come avviene ad esempio in altri Cantoni, dove ai cittadini stranieri è data la possibilità di votare o addirittura di candidarsi alle elezioni comunali. Un nuovo paradigma, in ottica di una nuova politica migratoria che a livello federale, cantonale e comunale, si faccia carico e onori la grande tradizione umanitaria del nostro Paese.
Articolo di Marco D’Erchie, candidato al Gran Consiglio, pubblicato su tio il 14 marzo 2023