Comunità di destino in protesta

800’000 persone. Parigi. Strade e piazze come teatro di chi, in Francia, manifesta contro la riforma delle pensioni. Tre milioni e mezzo di persone in tutto il Paese. Scese in piazza per l’innalzamento dell’età pensionabile e per quello che questo significa: chiedere altri sacrifici ai lavoratori, far pagare al ceto medio i conti che altrimenti non tornano. Se pensiamo a noi, in Svizzera, parliamo dei conti di cui devono farsi carico soprattutto le donne. Non i ricchi, i grandi patrimoni, le grandi imprese. Poveri che si impoveriscono, tra la gente comune.

Tornando alla Francia, una lezione dovremmo però impararla: il popolo esiste e quando si mobilita la sua forza è straordinaria. Pensiamo anche a Israele, alle sue piazze piene di gente contro la riforma della giustizia. Lo scopo, sempre quello: impedire che un élite decida per chi sta sotto, fermare l’arroganza dei pochi contro i molti. Si mette in discussione la diseguaglianza sempre più estrema tra i ricchissimi e i poveri, tra chi comanda e chi è comandato. Una distanza sempre più intollerabile e dolorosa.

La società dà segnali di cambiamento, comprende e riconosce l’importanza dell’agire, uniti. Siamo comunità di destino, unite nella sensazione che un futuro non ci sia, per più motivi: eco-ansia, privatizzazione dei beni, il capitale naturale, economico e culturale in mano ai ricchi. L’individualismo degli ultimi decenni viene lasciato da parte. Correre da soli non è vantaggioso se la gara è truccata. Non resta che unirsi, in piazza, protestare, farlo con forza, mai con violenza. Protestare vuol dire provare a cambiare le cose, in Europa come altrove. In Francia, in Israele, come in Iran e Afghanistan, nelle piazze italiane. In Svizzera, ancora.

Proprio pensando a noi, ticinesi e svizzeri, sulla riforma Avs 21, perché una protesta così non c’è stata? Perché la popolazione non è scesa in piazza quando è stato deciso di far pagare alle donne i costi delle casse pensioni? Perché non siamo in piazza ora, a pretendere risposte quando ci chiediamo che futuro avremo e che futuro avranno le prossime generazioni? Tagli ai servizi, a tutti, a bambini, anziani, persone in situazione di vulnerabilità, famiglie. Tagli ma non proteste, silenzi senza rivendicazioni.

Una popolazione attaccata per necessità all’arte della sopravvivenza, troppo impegnata ad arrivare a fine mese per occuparsi di politica. Non si è, ancora, fatto quel salto concettuale necessario dalla ricerca di un benessere individuale alla protesta collettiva. Mi chiedo se la protesta ticinese non sia l’emigrazione. Le persone hanno smesso di credere che le cose possano cambiare in meglio. Ma devono cambiare.

Speriamo si torni a essere popolo, lasciando il populismo in mondi paralleli e peggiori, per dare nuovamente vita e linfa alla democrazia. Riportare il cambiamento nell’universo delle cose possibili. Tornare a crederci e agire perché diventi davvero realtà. Insieme.

Articolo di Mattea David, eletta in Gran Consiglio pubblicato su LaRegione del 12 aprile 2023.

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