Clima ed eventi estremi: segnali su cui riflettere

Il recente disastroso scoscendimento della montagna, al quale abbiamo potuto assistere praticamente in tempo reale e che ha spinto a valle anche il ghiacciaio seppellendo il villaggio di Blatten causando una vittima e danni per oltre 500 mio, è stato relativizzato dal Consiglio Federale come un fenomeno con un periodo di ritorno superiore ai 300 anni.

Eppure solo un anno fa ne è capitato uno simile per volume di materiale, un crollo da 8 mio metri cubi che si è esteso su una lunghezza di 5 km nella Val Rosegg in Engadina. Secondo il glaciologo Wilfried Häberli in alta montagna, crolli da milioni di metri cubi, tra il 1900 e il 1980 ne sono stati contati quattro, uno ogni vent’anni. Tra il 1980 e il 2000 se ne sono contati altri quattro, uno ogni cinque anni. Dal 2000 ce ne sono già stati otto, in media uno ogni tre anni. Due negli ultimi due anni: uno nel Lötschetal e l’altro Val Rosegg. Il calcolo è semplice: la frequenza è cresciuta di 10 volte nell’arco di 50 anni, un lasso di tempo che ha visto accelerare fortemente i tracolli delle nostre montagne in parallelo a sempre più frequenti eventi di precipitazioni estreme, come quella da 250 mm in 6 ore la sera del 29 giugno 2024 in alta Valle Maggia che ha fatto 8 vittime. 50 anni: un breve periodo a confronto alle ere geologiche della formazione delle nostre Alpi iniziata 130 mio anni fa, o dal termine dell’ultima glaciazione 12.000 anni fa. Nell’arco di 2 generazioni, abbiamo assistito a una drastica accelerazione dei crolli indotta dall’aumento della temperatura nell’area alpina (Svizzera dal 1900 +2.9°C) che solo negli ultimi 25 anni ha portato al dimezzamento del volume di permafrost, il cemento che da centinaia di migliaia di anni consolida le nostre montagne. Siamo nel pieno di un forte cambiamento climatico e conseguenti eventi estremi che potrebbero farsi ancor più estremi; sappiamo che più aumenta la temperatura dei mari e dell’atmosfera, più il ciclo dell’acqua si fa violento, senza dimenticare l’aumento dei giorni di canicola che subisce una crescente parte della popolazione in vari Paesi del mondo, Ticino incluso.

L’evoluzione nei prossimi decenni è destinata al rialzo, di quanto è difficile dirlo.

Dall’inizio dell’era industriale, in particolare dalla metà del secolo scorso, abbiamo immesso nell’atmosfera 2.600 miliardi di tonnellate di CO2 e sebbene nella Conferenza di Rio del 1992 la comunità mondiale si fosse accordata per ridurre le immissioni, da allora sono cresciute da 20 a 40 miliardi di ton per anno, solo dal 2012 si inizia a vedere una stabilizzazione.

Abbiamo raggiunto il valore più alto di CO2 nell’atmosfera da almeno 800 mila milioni anni, una pesante ipoteca che altererà le condizioni di vita per diverse generazioni alle quali lasciamo un immenso debito, che dobbiamo cercare di ridurre defossilizzando il più presto e il più velocemente possibile. Disquisire se il cambiamento climatico sia generato dall’uomo al 100, 90 o 80% non serve.

Articolo di Bruno Storni apparso sul Corriere del Ticino il 5 luglio

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