Casi di rigore e oltre

Stiamo vivendo tutti un momento di grande incertezza e paura, compagni di viaggio pericolosi che possono minare alla base democrazia e pace sociale. Ancor di più in questa situazione la presenza di uno Stato solido e di un’amministrazione competente ed efficace è necessaria per permettere a cittadini e aziende di far fronte a incognite e difficoltà. Le amministrazioni comunali e cantonali sono diventate un importante punto di riferimento a cui rivolgersi per chiedere informazioni e aiuto in caso di necessità. Una sorta di antenna con l’occhio attento sul territorio per interpretare tempestivamente i bisogni della società e dare risposte adeguate. Ma per far questo abbiamo bisogno di risorse adeguate, risorse che non vanno sprecate quando gli anni sono buoni. Non sprecare risorse vuol dire non promuovere sgravi fiscali inutili, non certo ridurre servizi o prestazioni, come spesso fatto per risanare le finanze dello Stato, che proprio in situazioni di emergenza come questa sono assolutamente necessari.

L’obiettivo deve essere quello di non lasciare indietro nessuno, non aumentare le disuguaglianze e garantire un futuro a tutti. Con i casi di rigore vengono dati aiuti diretti alle aziende, aiuti che indirettamente sostengono anche i cittadini perché dietro le imprese ci sono persone: lavoratrici e lavoratori, piccoli indipendenti e datori di lavoro. Oggi più che mai abbiamo capito come il diritto al lavoro e a un salario adeguato tutelino la salute e la dignità della persona garantendo nel contempo prospettive alla società tutta. Se con le indennità per il lavoro ridotto e le indennità perdita di guadagno si è cercato di partecipare ai costi variabili di un’azienda, ora con i casi di rigore si mira a coprire i costi fissi, tipicamente affitti, leasing, assicurazioni e altri abbonamenti necessari. Centodieci milioni di contributi a fondo perso che se non dovessero bastare andranno aumentati. Questi aiuti andranno ad aiutare aziende che hanno avuto una forte contrazione della cifra d’affari a causa della pandemia o che hanno subito un ordine di chiusura della durata superiore ai quaranta giorni. In questo modo più di 6’500 aziende potranno ricevere gli aiuti tempestivamente in un momento di straordinaria difficoltà. Ci sono comunque alcune lacune nell’ordinanza federale che sarà necessario coprire con strumenti aggiuntivi. A livello svizzero sono 6’000 le aziende fondate dopo l’insorgere della pandemia e che non avranno diritto a questi aiuti. Ci sono poi le aziende con meno di 50’000 franchi di fatturato che sono ingiustamente escluse dai casi di rigore. Si tratta di attività familiari che non è corretto discriminare con una soglia arbitraria. C’è poi tutto il settore culturale che non può accedere agli aiuti perché non ha una forma giuridica aziendale e perché può accedere ad altri aiuti. Le persone e le aziende in difficoltà vanno comunque ben oltre i casi di rigore. Particolarmente le donne che stanno pagando un prezzo altissimo in termini di disoccupazione in molti casi senza avere accesso alle prestazioni federali. Proprio per questo è stato votato anche un nuovo strumento di politica sociale, un credito ponte Covid-19, rivolto direttamente ai nuclei familiari che stanno vivendo un momentaneo periodo di difficoltà finanziaria. Durante la seduta di Gran Consiglio è stato detto che non esistono pasti gratis e che alla fine qualcuno pagherà! Ebbene qui stiamo dimostrando esattamente il contrario! Senza questi aiuti molte aziende potrebbero dover chiudere, licenziando persone e causando una crisi sociale peggiore di quella che già si prospetta oggi all’orizzonte. Aiutando queste aziende permettiamo loro di continuare l’attività e di contribuire così alla ripresa dell’economia. Non stiamo togliendo ricchezza a qualcuno per darla a un altro. È possibile tenere in ordine i conti pubblici e contemporaneamente dare aiuti e lavoro a chi è in difficoltà, basta fare le scelte corrette. E in prospettiva a beneficiarne saranno tutti! Misurandosi con l’ostacolo l’uomo scopre sé stesso, scriveva Saint-Exupéry, speriamo che anche la politica confrontata con le reali difficoltà della popolazione possa ritrovare sé stessa!

Articolo di Ivo Durisch, apparso su La Regione il 27 gennaio

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