‘Aziendalizzato’ non funziona!

A volte battaglie puntuali sono emblematiche della necessità di fare grandi guerre. Quanto sta avvenendo alla Rsi, e più in generale alla Ssr a proposito dei cambiamenti proposti per la Rete Due e l’approfondimento culturale in generale, ci sta dimostrando, ancora una volta dopo quanto già successo e certificato per le ex regie federali, che l’“aziendalizzazione” dei servizi pubblici non funziona proprio.
Il servizio pubblico di informazioni, cioè la Srg Ssr (poi Ssr), è oggi l’ultima azienda pubblica di respiro nazionale in cui valgono ancora i principi della solidarietà finanziaria tra le regioni linguistiche e a cui è attribuito un esplicito e codificato mandato di servizio pubblico, sotto forma di una Concessione da parte del Consiglio federale alla Ssr, nella quale sono indicati obiettivi, procedure e strumenti a disposizione dei diversi attori per la concretizzazione di questo mandato.

Gli statuti della Ssr, coerentemente con il mandato formalizzato nella Concessione, sono stati chiamati a codificare nel dettaglio a chi competa un determinato ruolo o responsabilità, nonché le modalità con cui esercitare tali funzioni. Coerentemente con ciò negli statuti Ssr è indicata in modo chiarissimo le competenze dei diversi organi e tra essi anche quelle delle organizzazioni regionali, che rappresentano le diverse realtà linguistiche e culturali all’interno della Ssr. In particolare, in base all’articolo 14 e 15 dello Statuto della Società svizzera di radiotelevisione (Srg Ssr), viene attribuito alle organizzazioni regionali il potere decisionale sugli obiettivi di programma, sui quali questi organi devono esprimersi, condividendo o modificando quanto proposto dall’azienda stessa e in particolare dal Consiglio di amministrazione dell’azienda, vedendosi attribuita anche la competenza (e cito testualmente) “di suddividere le risorse tra le reti e le aree di programma in funzione dei concetti di programma e dei limiti di spesa decisi dal Consiglio d’amministrazione”. E questo, nel principio di mandato di servizio pubblico, per permettere alle diverse entità regionali di poter dire la loro su quelli che sono non i programmi già in onda o il modo di produrre questi programmi, ma sugli indirizzi programmatici dell’azienda stessa in prospettiva futura, potendo così intervenire sull’indirizzo delle risorse da attribuire ai diversi settori di programma. Tutto bene quindi? I diritti di espressione, di intervento, di controllo e di decisione sull’attribuzione delle risorse per il mandato di servizio pubblico sono garantiti nella Ssr? Non proprio.

O quanto meno non nei fatti. Infatti, se così fosse su quanto proposto per la Rete due con il progetto Lyra, che prevede una riduzione del parlato e quindi di fatto un cambiamento sostanziale dell’attuale offerta culturale alla Rsi, la Corsi, quale espressione istituzionale del territorio della Svizzera italiana, potrebbe, anzi dovrebbe dire la sua in modo vincolante per l’Azienda in base allo statuto e quindi dare indicazioni di indirizzo in una prospettiva futura all’azienda. Ma in realtà questo vincolo Corsi non sembra così stringente. Nonostante la Concessione del Consiglio federale definisca con chiarezza i contenuti irrinunciabili per il servizio pubblico di informazione e gli strumenti e in alcuni casi persino le risorse necessarie per garantire questa offerta, nonostante lo Statuto Ssr chiarisca a chi compete, a livello regionale, esprimersi sugli indirizzi e addirittura spostare le risorse all’interno dei settori, ecco che compare un Regolamento della Direzione, emanato dal Consiglio di amministrazione della Ssr, che praticamente annulla tutto quanto sopra ricordato, attribuendo alla Direzione competenze in contraddizione con quanto stabilito sia dalla Concessione sia dallo Statuto.

Vien allora da chiedersi se quanto sostenuto con convinzione da molti di noi durante la campagna No Billag, in difesa della Ssr e della Rsi, ricordando che il servizio pubblico di informazione era un servizio soggetto a controllo democratico e quindi della gente e dei territori, sia ancora vero. L’‘aziendalizzazione’ della Ssr, con questo accentramento del potere nella sola testa dell’azienda, cioè nel Consiglio di amministrazione Ssr, sta di fatto smantellando, pezzo, dopo pezzo le fondamenta e le procedure democratiche per il controllo sull’offerta del servizio pubblico di informazione che sembravano invece garantite dalla Concessione. Del resto, credo sia ben evidente a tutti come l’‘aziendalizzazione’ dei servizi pubblici ha prodotto risultati davvero poco edificanti (è un eufemismo), dal profilo del servizio pubblico, per tutte le ex Regie federali ancora in mano pubbliche (e quanto sta avvenendo proprio in questi mesi per Postfinance non fa che confermarlo).

Che fare allora? Da un lato, credo sia molto importante, in ambito federale dopo la risposta ricevuta dall’atto parlamentare di Marina Carobbio sul futuro della Rete Due, chiarire con il Consiglio federale se la Concessione alla Ssr è un documento con direttive vincolanti o contiene invece direttive non più in vigore (con un’autocertificazione da parte del Consiglio federale di produrre carta straccia). Dall’altro lato, bisogna far sentire alle ticinesi e ai ticinesi che la battaglia in difesa della cultura, dell’approfondimento e della Rete Due alla Rsi è una battaglia di democrazia, ancor prima che in difesa della cultura, perché anche da essa può davvero dipendere la qualità e il diritto all’accesso democratico al servizio pubblico di informazione e quindi a uno strumento fondamentale per la democrazia stessa.
Infine, c’è l’urgenza di ripensare (ed è questa la guerra) le scelte fatte per le ex regie federali. L’emergenza generata dal Covid ha messo ben in evidenza la necessità, per la popolazione, di poter contare, soprattutto nei momenti di difficoltà, su un servizio pubblico forte, solido e radicato al territorio, di un servizio pubblico che sia cioè davvero al servizio del pubblico (e non dei tornaconti delle “aziende pubbliche”) in modo universale e finanziariamente sostenibile.
Se guerra deve essere, guerra sarà!
 
Articolo di Anna Biscossa, apparso su La Regione il 25 febbraio

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