Avs 21, un passo indietro

Nel 2017 votammo sul progetto Previdenza 2020, che affrontava assieme il tema della parziale riforma dell’Avs (primo pilastro) e della previdenza professionale (secondo pilastro). Di fronte all’aumento della speranza di vita e ai cambiamenti inerenti al rapporto tra numero di pensionati e numero di lavoratori attivi, due realtà incontrovertibili, per l’Avs si prevedeva l’aumento dell’età di pensionamento delle donne da 64 a 65 anni, un supplemento di 840 franchi all’anno per tutti i nuovi beneficiari e un finanziamento supplementare del primo pilastro mediante il 0,3% dell’Iva e una trattenuta paritetica aggiuntiva dello 0,15%. Parallelamente il tasso di conversione minimo del capitale in rendita del secondo pilastro sarebbe sceso gradualmente per i lavoratori con meno di 45 anni dal 6,8 al 6%, misura parzialmente compensata con altri provvedimenti, mentre i premi degli assicurati fra 35 e 54 anni sarebbero aumentati dell’1%. Previdenza 2020, che considerava l’evoluzione della realtà e agiva su entrambi i pilastri, era naturalmente un compromesso, ma venne respinto in votazione popolare.

Ora le Camere federali ci riprovano, ma con due progetti disgiunti, uno dedicato all’Avs e l’altro alla previdenza professionale. Il 25 settembre andremo a votare sulla revisione dell’Avs senza sapere come sta andando il progetto relativo al secondo pilastro, il quale naviga con testi diversi tra loro al Consiglio nazionale e al Consiglio degli Stati e sarà pronto definitivamente solo dopo l’imminente voto popolare. Cosa prevede il progetto per la sola Avs su cui voteremo? L’aumento dell’età di pensionamento delle donne da 64 a 65 anni, come con Previdenza 2020, un supplemento modulare per le sole donne nate fra il 1961 e il 1969, quindi un risultato decisamente peggiore rispetto agli aumenti di rendita per tutti i nuovi beneficiari previsti da Previdenza 2020, e un finanziamento supplementare pari allo 0,4% dell’Iva.

Summa summarum in cinque anni abbiamo fatto dei passi indietro. Da un compromesso che affrontava complessivamente il tema, agendo su ambedue i pilastri del nostro sistema pensionistico, a una risposta parziale (come finirà con la previdenza professionale non lo sappiamo) e peggiore (Avs 21 è una riforma meno equilibrata di quella del 2017 per la sola Avs). Io sostenni Previdenza 2020, con i suoi pro e contro, perché mi sembrava un buon compromesso, realistico e pragmatico, ma oggi non posso sostenere Avs 21, che propone una soluzione squilibrata, pagata in larga parte solo dalle donne. Avs 21 è una forzatura, sostenuta anche da previsioni finanziarie sempre catastrofiste mai confermate dai fatti, un tentativo di prendere il popolo per sfinimento. Una riforma complessiva del sistema pensionistico è necessaria, ma sul tavolo vanno messe tutte le carte, cosa che questo progetto non fa.
I passi indietro fatti tra il 2017 e oggi sono responsabilità della destra di questo Paese, ma anche dell’estrema sinistra, che cinque anni fa aiutò la destra a far cadere Previdenza 2020, illudendosi che un voto negativo avrebbe prodotto cose migliori. Come era stato ampiamente previsto e detto, i fatti hanno smentito quell’illusione e oggi dobbiamo difendere le pensioni da un progetto peggiore, parziale e caricato sulle spalle delle donne senza compensazioni sufficienti.

Articolo di Manuele Bertoli apparso su La Regione il 5 settembre

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