Armiamoci di buon senso

La Svizzera è un Paese neutrale da secoli, una neutralità che le ha permesso di elevarsi a livello di politica internazionale come un interlocutrice seria e affidabile proprio in virtù di quella posizione «super partes» che la neutralità le consente. Ma la neutralità non è solo il vestito buono da indossare durante i summit internazionali. In questo tempo di mercato globale potersi definire neutrali accrescerebbe anche in questo senso la credibilità della Svizzera sullo scacchiere internazionale. L’iniziativa infatti chiede che la Banca nazionale e i fondi pensionistici smettano di investire parte dei loro capitali in aziende che producono materiale bellico, più precisamente quelle aziende che ottengono più del 5% del proprio ricavato dalla produzione di armamenti.

L’iniziativa è stata additata dai contrari come pericolosa per il mondo economico e per le rendite pensionistiche. Non si nega che l’iniziativa sia coraggiosa e si spinga contro la lobby delle armi, tra le più forti e influenti al mondo. Il problema di fondo però è la mancanza di volontà di voler cambiare paradigma. Nessuno vieta alla Banca nazionale o all’AVS di investire sul mercato, semplicemente bisogna cambiare tipo di investimenti, prediligendo per esempio quelli a favore dell’ambiente. Le aziende, dal canto loro, potranno diminuire la percentuale di produzione di materiale bellico sotto il 5% senza arrivare a dover tagliare posti di lavoro, ma convertendo il loro alto livello di tecnologia specialistica ad usi civili. L’industria degli armamenti è tra le più all’avanguardia in campo tecnico-scientifico; poter riconvertire questo enorme potenziale a scopi civili sarebbe un cambio di passo che il mondo ci invidierebbe e che porterebbe benefici a tutta la popolazione. Anche per quanto riguarda il tema dell’emigrazione, questa iniziativa va a colpire alla radice il problema, infatti i finanziamenti più o meno indiretti agli scenari di guerra che creano le condizioni che alimentano i flussi migratori andrebbero a cadere.

La strategia dei contrari, quella di mettere paura preannunciando la fine del benessere e della perdita di posti di lavoro è la stessa che viene propinata ogni qualvolta, oltre al tema specifico, la votazione mette sullo sfondo un cambiamento. I cambiamenti possono certo far paura, ma, se le loro finalità sono buone, tendono a migliorarci. Per questo le svizzere e gli svizzeri hanno l’occasione, oltre che per tenere fede e rafforzare il concetto di neutralità inscritto nella costituzione, di dare il via a un rinnovamento sociale ed economico basato sull’etica e il benessere della società civile. Un’occasione che non possiamo farci sfuggire. Quindi il 29 novembre si vota sì all’iniziativa.

Articolo di Martina Malacrida, apparso sul Corriere del Ticino il 27 novembre

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