Siamo abituate al confronto politico duro, anche alle critiche severe. Non pretendiamo certo di esserne risparmiate: ricopriamo ruoli pubblici importanti ed è giusto essere giudicate per le nostre scelte, le nostre parole e le nostre azioni. Così come siamo disponibili a qualsiasi confronto sulle idee e sui contenuti.
Ma riteniamo doveroso reagire quando il confronto politico scivola in una retorica che non riguarda più le idee, bensì l’identità privata e il genere di chi quelle idee le porta avanti.
Nell’editoriale pubblicato martedì su laRegione, il direttore Daniel Ritzer cita per nome diversi uomini protagonisti dell’attuale dibattito sul (non) arrocco in Consiglio di Stato: Lorenzo Quadri, Matteo Quadranti, Christian Vitta, Sergio Morisoli, Matteo Pronzini, Fiorenzo Dadò, Raffaele De Rosa e Maurizio Agustoni. Quando però parla di due donne, decide di non nominarle. Non siamo Laura Riget e Marina Carobbio; non siamo neppure la copresidente del Ps Ticino e la consigliera di Stato: siamo solo “nuora” e “suocera”. Una scelta di parole che non ha nulla a che vedere con l’analisi politica, ma che rivela quanto ancora sia presente, pure nella nostra società, una cultura che fatica a riconoscere alle donne il loro ruolo pubblico, preferendo ridurle a relazioni familiari. Tema, quello delle questioni di genere, sul quale non solo noi siamo molto attive, ma anche laRegione stessa dedica spesso attenzione. A maggior ragione, quindi, la scelta del linguaggio è importante. Non si tratta inoltre “solo” di una questione di genere. Si insinua infatti anche che la posizione del Ps Ticino sia il frutto di una dinamica familiare, riducendo la “nuora” copresidente a una sorta di portavoce della “suocera” consigliera di Stato. Si nega così la sua indipendenza politica. E l’esistenza di un dibattito democratico all’interno del partito: un dibattito fatto di opinioni diverse, discussioni trasparenti, anche di decisioni prese a maggioranza e scelte collettive. Questo episodio, per quanto puntuale, non è solo una svista: è il riflesso di un problema più profondo. Persino quando una donna raggiunge posizioni di vertice – come unica donna nell’esecutivo cantonale, rispettivamente unica donna alla guida di un partito cantonale – c’è ancora chi sceglie di definirla non per ciò che fa o rappresenta, ma per un legame privato. È così che si cancella il percorso e l’impegno di ognuna, e con essi il ruolo politico delle donne, riducendole a comparse nella storia scritta dagli uomini. Non abbiamo paura delle critiche, anzi: il confronto franco è linfa per la democrazia. Ma il rispetto per le persone, donne o uomini che siano, deve restare un limite invalicabile. Perché finché le donne saranno raccontate soltanto come “nuore” o “suocere”, la politica non sarà mai davvero uno spazio di pari dignità per tutte e tutti.
Articolo di Marina Carobbio e Laura Riget, apparso su La Regione il 19 luglio