Ho riascoltato per assolvere a un compito marginale alla mia professione di attivo pensionato italianista la puntata di Alice (Rete Due) del 18 marzo scorso, dedicata al centenario della nascita di Roberto Roversi. Mi sono appuntato alcune frasi espresse dallospite della trasmissione, il filologo e critico letterario bolognese Massimo Raffaeli: «Un tratto che caratterizza i grandi scrittori della generazione di Roversi, dal suo amico fraterno Pasolini, a Volponi, a Fortini, a Calvino, a Sanguineti, è di essere stati dei grandi intellettuali scrittori e quindi con una coscienza critica incorporata nella loro stessa opera: forse è quello che manca oggi; ora abbiamo scrittori straordinariamente abili di talento ecc, ma che hanno nei confronti della realtà un rapporto differente, non molte volte critico. [ ]. Roversi aveva una grande attenzione alla città, alla polis e ai suoi assetti; anche questo è un tratto oggi, ahimè, recessivo».
Sono parole che dovrebbero interrogarci, soprattutto in un momento come questo. Viviamo con una guerra sulluscio di casa, in un mondo che sta subendo un oggettivo e drammatico cambiamento climatico e con una emigrazione di popoli che approda in una Europa impreparata. Noi siamo parte tutto ciò, il Ticino ne è parte. Certo ci si può ( e ci si deve) domandare cosa sia possibile fare. Forse poco, ma certamente qualcosa. Le parole di Raffaeli devono farci riflettere fino a chiederci: noi, oggi, abbiamo «una grande attenzione alla città, alla polis e ai suoi assetti»? La politica ha una sufficiente attenzione verso il suo Paese? In che modo le e gli intellettuali si sono occupati della loro città-stato?
Salvo lodevoli eccezioni non mi pare di aver letto o sentito la loro voce. Altro discorso riguarda le e gli esperti: specialisti recuperati durante la pandemia di COVID-19, competenti di un tema preciso, di un campo ben circoscritto e lontano (a volte, per fortuna) da quello politico. Una cara amica intellettuale mi dice infatti che oggi le voci più ascoltate sono quelle delle e degli influencer; se va bene anche delle e degli esperti.
La recente campagna elettorale, dai più definita deludente, è la dimostrazione plastica (sintagma caro ai politici) di quanto abbia ragione Raffaeli: oggi le e gli intellettuali hanno un rapporto recessivo nei confronti della realtà. E si vede. È mancato il discorso alto, sono mancati i dibattiti su temi importanti come lambiente, laccoglienza, la socialità, i costi della salute, la nuova povertà. Non si è saputo (o non si è voluto) spiegare, con esempi concreti, cosa voglia dire essere in grado di coniugare la giustizia sociale con quella ambientale. Per contro, tra un aperitivo e laltro, abbiamo imparato tutto sulle votazioni suppletive.
A chi scrive sono tornati alla memoria i comizi ascoltati nella seconda metà degli anni Settanta a Pavia, in Piazza della Vittoria, di Riccardo Lombardi, Luciano Lama e di altri ancora. Cera sostanza. Forse che oggi non ci siano temi altrettanto importanti e inquietanti? Il mio invito al mondo della cultura è di far sentire la propria voce, di non essere assenti o marginali. Abbiamo bisogno di idee e di scambi che travalichino i personalismi e le gestioni contabili.
Concludo con le parole di una grande intellettuale scrittrice, Dacia Maraini: «LItalia in questo momento ha bisogno di qualità e di competenza. Il contrario dellappiattimento verso il basso, di uno vale uno». E anche noi.
Aurelio Sargenti, pubblicato in Le/i Naufraghi