Qualche giorno fa è morta Judith Heumann, un nome che alla maggioranza dice poco. Eppure lei è un eroina dei nostri tempi. È stata la prima persona in carrozzella a diventare insegnante in una scuola americana. Era una leader indiscussa del movimento per l’inclusione dei disabili. Diceva: «La disabilità diventa una tragedia solo quando la società non ci fornisce le cose di cui abbiamo bisogno per condurre la nostra vita». Ho vissuto nella mia storia di famiglia il cambiamento su questo tema dagli anni sessanta a oggi. Dall’esclusione, la chiusura in istituti, all’integrazione all’inclusione, oggi la parola che tutti adoperiamo. Già le difficoltà delle definizioni diciamo andicappati? O portatori di handicap? Oppure disabili? Oppure diversamente abili? – indica il disagio della società. Naturalmente sull’accettazione e sull’inclusione, tecnicamente l’atto di inserire in un gruppo una persona senza discriminazioni, sono tutti d’accordo. Il problema è la traduzione in atti concreti. È evidente che passi avanti ne sono stati fatti moltissimi, ma le barriere, non solo quelle architettoniche, sono ancora presenti. Nelle stazioni, negli edifici, per citare i casi più palesi. Si sta lavorando, certo, ma spesso i tempi sono lunghi, i costi sono alti e le priorità sono altre. Poi c’è un aspetto essenziale, quello delle opportunità di lavoro. In una società centrata sull’efficienza a tutti i costi, l’inclusione è spesso messa in secondo piano e ci si lava la coscienza con donazioni a enti e associazioni. Invece ci vogliono misure concrete, sostegno per esempio alle aziende che praticano l’inclusione in termini effettivi. E poi c’è un passo culturale: ascoltare la voce di chi vive le difficoltà di spostarsi o trovare occupazione è essenziale per proporre soluzioni. Sosteniamo quindi candidate e candidati diversamente abili (come Marco Altomare del PS, ma anche altri su altre liste), ma non confiniamoli nel ghetto del dibattito sui temi che li riguardano direttamente. Un passo avanti decisivo lo compiremo quando discuteremo di lavoro, ambiente, rifugiati, politiche economiche senza badare a carrozzelle, stampelle, apparecchi acustici o occhiali per ipovedenti, perché stiamo discutendo con persone che hanno un nome e un cognome, non una condizione particolare. Esempi ce ne sono, vero, e come diceva Judith Heumann: «Bisogna riuscire a far bollire l’acqua a fuoco lento», perché ci vuole pazienza, ma solo la perseveranza mantiene accesa la fiamma.