Assicurazione malattia: il dito e la luna

Durante il mese di dicembre il Gran Consiglio voterà probabilmente una modifica della legge tributaria per aumentare di 1’200 franchi le deduzioni per oneri assicurativi per figlio a carico. La modifica è stata proposta con una iniziativa dell’arco di centro-destra (Il Centro, Plr Lega e Udc) soprattutto come risposta all’aumento scandaloso dei premi per l’assicurazione malattia per il 2023 che ha continuato a erodere il potere d’acquisto delle famiglie ticinesi e perché questa deduzione è prevista “nella maggioranza degli altri Cantoni”. Dimenticandosi tuttavia di specificare che, anche senza questa aggiunta, le deduzioni per oneri assicurativi in Ticino sono circa il doppio della media delle deduzioni concesse dagli altri Cantoni. Questo a causa della insistenza da parte della destra nostrana a voler coniugare politica fiscale e politica sociale. A parere di molti un errore di impostazione che i radicali del passato (anni Settanta-Ottanta) dicevano essere prerogativa o dei demagoghi o dei pasticcioni.
La proposta, se accettata, avrà delle conseguenze pratiche risibili (per un contribuente medio circa cinquanta franchi di minore imposta per figlio!) e ingiuste (favorisce soprattutto i redditi più elevati). Quindi se questa vuole essere una prima risposta al problema del costante aumento dei premi dell’assicurazione malattia e, in particolare, della loro esplosione quest’anno, il minimo che si possa dire è che su questo grosso problema il nostro centro-destra sta guardando il dito invece della luna.
Se invece si volesse guardare la luna, allora ci si accorgerebbe che il problema del sistematico importante aumento dei premi dell’assicurazione malattia obbligatoria dovrà essere affrontato con ben altri metodi. Perché il premio medio (che non figura nel paniere del costo della vita!) dal 2000 a oggi in Ticino è aumentato circa del 300% (media annua del 2,5%), contro l’8% dell’aumento ufficiale dei prezzi al consumo ed è forse la principale causa di quella inflazione che crea grossi problemi alle famiglie del ceto medio.


Nel sistema sociale svizzero alcune importanti assicurazioni obbligatorie (Avs 1948, Ai 1960 e Insai 1984) sono gestite da istituti pubblici e in genere funzionano molto bene anche grazie alla qualità della nostra “burocrazia”. L’ Assicurazione malattia, per contro, è rimasta in mani private anche dopo essere stata dichiarata di obbligatorietà generale con la Lamal del 1996. Le ragioni possono essere fatte risalire alle complicazioni del nostro, comunque apprezzabile, sistema federalistico, ma anche alla forza politica conquistata dalle Casse Malati private che si erano progressivamente impossessate del mercato già a partire dal XIX secolo, quando coprivano capillarmente il territorio con più di mille società di mutuo soccorso. Inizialmente il numero di assicurati era ancora relativamente modesto (ca. il 10% della popolazione nel 1915), ma poi aumenterà regolarmente fino a raggiungere praticamente il 100% della popolazione attorno al 1980, ben prima quindi della obbligatorietà generale introdotta con la Lamal. In questo modo le “Società di mutuo soccorso”, poi diventate Casse malati, oltre al mercato, conquistarono anche un importante potere politico gestito da potenti lobby.
L’opposizione delle “società di mutuo soccorso” fu determinante già nel 1900 nella schiacciante sconfitta alle urne del primo tentativo di legge federale sull’assicurazione malattia (Lami). La Lami verrà poi accettata nel 1912, ma solo perché si limitò a garantire il versamento di soldi pubblici alle Casse Malati. La Lami del 1912 si rivelerà determinante per lo sviluppo del potere delle Casse Malati nei decenni successivi e l’assicurazione malattia rimarrà essenzialmente su base privata con un modello, credo, unico in Europa. Una iniziativa della sinistra “per una cassa malati pubblica” venne respinta nel 2014 dal 63% dei votanti. Anche tentativi di creare delle Casse Malati pubbliche comunali, come in Ticino, ebbero risultati disastrosi. Confrontati con l’aggressività delle casse malati private alla caccia dei “buoni rischi” (giovani sani) le Casse pubbliche ticinesi si trovarono presto in una situazione fallimentare e quando vennero chiuse (1992) il Cantone dovette assumerne i debiti per 80 milioni di franchi! Dopo due tentativi di una nuova legge sull’assicurazione malattia in sostituzione della vecchia Lami del 1912 pesantemente falliti, l’ultimo nel 1987 con il 71% di No, finalmente nel 1996 Ruth Dreifuss riuscì a condurre in porto una nuova legge, la Lamal, sul modello della innovativa legge ticinese del 1986, completata nel 1992 con la “compensazione dei rischi”. Obiettivo dichiarato di Ruth Dreifuss, oltre alla dichiarazione di obbligatorietà per tutte le persone residenti in Svizzera, fu quello di evitare una medicina a due velocità, diversa per poveri e ricchi. Una conquista sociale importante, ma pagata a caro prezzo. Un primo prezzo la politica lo pagò garantendo alle Casse Malati la copertura dei costi degli assicurati morosi (senza questa garanzia le Casse Malati non avrebbero accettato l’obbligatorietà). Un altro decisivo prezzo fu quello di permettere alle Casse Malati un importante controllo della gestione della nuova assicurazione anche con l’inserimento nell’amministrazione federale di funzionari di loro fiducia. Oggi le Casse Malati con le loro organizzazioni mantello (“santésuisse” e “curafutura”) controllano aspetti fondamentali della politica sanitaria svizzera senza che la politica abbia la possibilità di controllare i loro conti. I Cantoni, pur essendo formalmente responsabili della politica sanitaria sul loro territorio, non sono in grado di analizzare le ragioni degli aumenti di costo e di orientare la politica sanitaria di loro competenza in modo da controllarli e spiegarne le ragioni agli assicurati. Quindi i Cantoni non sono messi nelle condizioni di studiare le necessarie contromisure e di condurre una politica sanitaria trasparente, efficace ed efficiente.
Nel 1996, grazie a una proposta di risoluzione del Gran Consiglio ticinese all’attenzione dell’Assemblea federale (messaggio 4591), accettata dalle Camere, questa possibilità venne introdotta nella Lamal e per qualche anno utilizzata dal responsabile dell’ufficio assicurazione malattia cantonale Bruno Cereghetti. Poi, con la recente revisione della Lamal, quegli articoli sono stati tolti dalla legge.
Un altro aspetto sul quale sarebbe importante intervenire concerne la gestione, con la stessa Cassa, dell’assicurazione di base obbligatoria per legge e dell’assicurazione complementare facoltativa. Una coabitazione che non rappresenta certo il presupposto per una gestione trasparente, soprattutto in un settore così delicato dove i costi vengono ripartiti su tutta la popolazione, mentre i benefici sono suddivisi tra Casse Malati, (formalmente senza scopo di lucro, ma che gestiscono un giro di soldi miliardario) e gli operatori sanitari.
Guardare la luna invece del dito per la politica cantonale oggi potrebbe voler dire rivendicare almeno quelle condizioni di trasparenza la cui mancanza impedisce di fatto una politica sanitaria cantonale equilibrata e intelligente. Se non si interverrà su questi aspetti fondamentali (trasparenza per i Cantoni e separazione delle due assicurazioni) l’evoluzione dei costi potrebbe diventare insopportabile per il ceto medio se non si introducesse il limite del 10% del reddito imponibile o insopportabile per gli stessi Cantoni se questo limite dovesse essere introdotto.

Articolo di Pietro Martinelli apparso su La Regione il 6 dicembre

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