Altro che tagli alla spesa

Per affrontare il dopo-pandemia sono diversi gli Stati che hanno deciso di investire su nuove politiche pubbliche o che hanno avviato importanti riforme. Basti solo pensare agli 806 miliardi di euro del programma NextGenerationEU dell’Unione europea o ai quasi 6’000 miliardi di dollari (1’900 per l’American Rescue Plan e 4’000 per l’American Jobs Plan) degli Stati Uniti. Nel nostro Cantone sembra invece che le cose vadano al contrario. La pandemia ha peggiorato momentaneamente i conti pubblici in maniera molto meno significativa che altrove e la reazione immediata della maggioranza politica sembra andare verso un taglio delle spese e il conseguente blocco di qualsiasi investimento che possa generare debito. Personalmente non ho mai sottovalutato la necessità di tenere i conti in ordine, in Gran Consiglio prima e in Consiglio di Stato poi ho contribuito a cercare soluzioni equilibrate a questo proposito, ma il ritorno dell’ideologia dei tagli della spesa pubblica mi pare oggi particolarmente fuori posto.

Da un lato perché, con grande disinvoltura e parecchia smemoratezza, da parte di chi vorrebbe a parole tagliare la spesa non mancano slanci che vanno in tutt’altra direzione, che chiedono maggiori investimenti in questo e quello. Poi perché, oltre a tagliare sulle spese, non pochi vorrebbero anche rinunciare a diverse entrate, anche a quelle previste e votate dal popolo, come quelle connesse alla famosa tassa di collegamento. Infine, e soprattutto, perché senza una ripartizione corretta degli sforzi, tenendo conto anche di chi può agevolmente dare di più, si andrà sempre e solo a colpire una parte della società.

Posso capire che l’Udc spinga in questa direzione, mi pare una logica conseguenza della loro ‘visione’ fondata sulla casta dei vincenti, nella quale a vincere sono sempre in pochi e a perdere sono sempre tutti gli altri, malgrado siano ancora in molti a illudersi di far parte dei ‘soci’ della casta. Capisco invece molto meno il sostegno a questa idea da parte dei partiti che si vogliono interclassisti, che in altri tempi esprimevano visioni ben più politiche e meno contabili, mentre oggi sembrano solo accodarsi alle posizioni espresse dal partito del presidente Marchesi.

Le sfide aperte anche per il nostro Cantone sono molte e per affrontarle dopo la pandemia serve un piano di rilancio che consideri i diversi temi problematici discussi anche pubblicamente. Vogliamo a medio termine più residenti o no? Vogliamo attirare e riportare persone qualificate in Ticino o no? Vogliamo progredire significativamente nella riduzione dei fattori generatori di CO2 o no? Vogliamo che la nostra società sia di tutti e non solo della casta dei ‘vincenti’? Per arrivarci abbiamo bisogno di investire, senza mandare i conti pubblici in tilt, non di applicare con un tempismo del tutto sbagliato le teorie che abbiamo visto tragicamente applicate in diversi Paesi europei dopo la crisi del 2008, dove i tagli alla spesa hanno solo peggiorato le cose, salvo per i soliti ‘vincenti’.

Non mi illudo di convincere qualcuno a cambiare idea, ma credo sia mio dovere istituzionale segnalare che di fronte a un bivio il Ticino potrebbe prendere una strada decisamente sbagliata, dalla quale sarà poi complicato e anche costoso tornare indietro. Evitiamo gli errori inutili, aggiungendo problemi artificiali a quelli reali, e cerchiamo di uscire dalla pandemia con delle prospettive sulle quali investire e conti da risanare a medio termine con gli strumenti che già abbiamo, tra l’altro decisi dal popolo pochi anni or sono. Le forzature non sono produttive e generano solo conflitti evitabili.

Articolo di Manuele Bertoli apparso su La Regione il 16 ottobre

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