Ora bisogna essere solidali

La pandemia da Covid-19 ci ha posto di fronte a questioni fondamentali che toccano la salute, la società e l’economia. Senza l’adozione di misure sanitarie per rallentare la diffusione del virus le ripercussioni sulla salute pubblica sarebbero state ancora più gravi e di conseguenza anche l’impatto sul mondo economico avrebbe potuto essere ancora maggiore. D’altra parte, senza adeguati strumenti e sufficienti sostegni di tipo finanziario e sociale, le misure restrittive non sono sopportabili per un numero sempre maggiore di settori e le persone che vi lavorano. Per uscire dalla crisi abbiamo bisogno di garantire aiuti dignitosi a chi si trova in difficoltà, ma anche di progettare sin d’ora il futuro. Penso ad esempio alla necessità di assicurare un migliore accesso alla rete di protezione sociale anche alle lavoratrici e ai lavoratori autonomi del settore dello spettacolo, dell’informatica o del commercio, per citarne solo alcuni. Inoltre, sarebbe necessario investire più mezzi nel settore sanitario e nelle misure per combattere l’isolamento sociale.

Di fondamentale importanza è la lotta alle crescenti disuguaglianze e una migliore redistribuzione della ricchezza; ci sono infatti grandi aziende che hanno ulteriormente aumentato i loro guadagni. Negli ultimi giorni sono cresciute le pressioni per riaprire le attività. Se le richieste di chi è preoccupato per le conseguenze delle chiusure e delle restrizioni sono comprensibili e necessitano di risposte concrete da parte della politica, esse lo sono molto meno quando sono fatte dagli esponenti di quei partiti che nel parlamento federale si sono opposti a sostegni più incisivi. È stato infatti necessario battersi per l’introduzione di ulteriori aiuti alle imprese in difficoltà e il riconoscimento delle indennità di lavoro ridotto al 100% almeno per i bassi redditi. Oggi una parte degli aiuti tarda ad arrivare; i complicati meccanismi di richiesta escludono le piccole attività che hanno cifre d’affari ridotte o che sono state create dopo l’inizio della pandemia; le misure a favore del mondo della cultura coprono solo una parte dei bisogni e chi ha lavori precari rischia di cadere rapidamente nell’indigenza e quindi necessitare dell’aiuto sociale. Le prossime settimane saranno decisive per arginare la crisi e salvaguardare posti di lavoro e aziende, anche aumentando gli aiuti che dovranno essere rapidi e di facile accesso. La Svizzera ha i mezzi per rispondere a questi bisogni: ha un debito pubblico basso, la Banca nazionale realizza importanti utili ed è giunto il momento di riflettere sull’introduzione di un’imposta di crisi sugli alti patrimoni e sulle quelle aziende che hanno fatto importanti guadagni nonostante la pandemia. Purtroppo, invece di discutere seriamente queste opzioni, la destra svizzera, capeggiata dall’Udc e rincorsa dal Plr, preferisce far demagogia lanciando una campagna personale contro il Consigliere federale Berset. Omettendo ovviamente di dire che le decisioni sono prese dal governo e non da un suo singolo esponente e che sia in Consiglio federale sia in parlamento la sinistra non ha ancora la maggioranza. Far credere che basterà riaprire tutto per rimettere a posto le cose è creare false illusioni a chi vive difficoltà economiche, teme per il posto di lavoro o il futuro della sua attività. Le misure restrittive hanno permesso di evitare un numero ancora più elevato di malati e decessi, ma anche ben maggiori danni all’economia. Ecco perché si deve evitare di contrapporre salute ed economia ed essere solidali con chi è in difficoltà. Solo così potremo veramente uscire dalla crisi.

Articolo di Marina Carobbio, apparso su La Regione il 17 febbraio

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