I Magistrati avranno un codice etico e deontologico. Bene. È uno strumento che male non fa, e fissa alcuni paletti che delimitano un perimetro chiaro, ponderando anche l’opportuno, non solo il legale. Ma ricordando che l’impulso per l’elaborazione di questo documento venne da una commissione parlamentare, non posso non notare un’incoerenza: se lo chiediamo alla Magistratura, la politica non può chiamarsi fuori. Lo dico senza giri di parole, assumendomi per intero il mio ruolo: mi vergogno di appartenere a una classe politica che, in questa legislatura più che mai, è stata al centro di vicende con un tratto comune– il comportamento di suoi esponenti. Non si tratta di giudicare colpe o innocenze, che spettano esclusivamente ai tribunali. Si tratta di riconoscere che, per chi esercita un potere pubblico, l’esempio pesa più delle giustificazioni e la forma è sostanza.
La domanda provocatoria posta in questi giorni dal vicedirettore del Corriere del Ticino Gianni Righinetti – quante risorse la Magistratura ha dovuto dedicare a procedimenti riguardanti politici o ex politici? – è legittima, mi ha fatto riflettere e guardare il quadro d’insieme. Ed è preoccupante: la distruzione dell’ex Macello, la vicenda legata al favoreggiamento a seguito di un intervento di polizia, il caso Hospita, denunce per calunnia e diffamazione da una deputata a due colleghi, fino all’episodio più recente che ha coinvolto un parlamentare accusato di falsa testimonianza e denuncia mendace. Non cito questi fatti per alimentare processi mediatici o puntare il dito, ma per dire che la politica non può trattare la propria etica come un affare privato. Quando a essere ripetutamente chiamati in causa sono rappresentanti istituzionali, è evidente che non si tratta di coincidenze ma di un problema culturale e sistemico che si sta aggravando.
Come coordinatore della Sottocommissione Speciale che ha svolto l’Alta Vigilanza sul caso che chiama in causa i vertici della Lega dei Ticinesi, ho vissuto come una sconfitta collettiva la necessità di proporre una Commissione parlamentare d’inchiesta.
Nessuno entra in politica con il desiderio di arrivare a una Commissione parlamentare d’inchiesta (CPI). Ma quando gli strumenti ordinari non bastano più, e quando la fiducia è stata compromessa, non c’è alternativa.
Chi rappresenta i cittadini deve essere pronto a vivere in un perimetro più esigente degli altri. Lo scrivo senza alcuna presunzione di più elevata moralità e senza alcun paternalismo: potrebbe succedere in futuro che siano membri del Partito Socialista, o anche il sottoscritto a commettere sbagli o comportamenti inopportuni rispetto alla carica. Per questo un’occasione di riflessione e autocritica, nessuno escluso, penso sia oggi indispensabile e aiuterebbe a prevenire errori.
Vedo un’urgenza che non possiamo più ignorare: anche la politica ha bisogno di un proprio codice etico. Perché la forza dell’esempio non è uno slogan. È la condizione minima affinché le istituzioni funzionino. E se la politica vuole davvero recuperare credibilità, deve cominciare, finalmente, da sé stessa.
Articolo di Fabrizio Sirica, Corriere del Ticino 14 ottobre