‘Welfare paradox?’ Ma fateci il piacere!

In Gran Consiglio è stata depositata una mozione che chiede un’analisi sul cosiddetto “welfare paradox”: l’idea che un sistema sociale troppo generoso disincentivi il lavoro e crei dipendenza dagli aiuti statali. Guardando però la realtà ticinese, questo concetto appare più un artificio ideologico che una descrizione credibile.

Il vero paradosso è che migliaia di persone, pur lavorando a tempo pieno, non riescono a coprire le spese di base. Non è l’assistenza o il welfare state a essere “fuori controllo”, bensì il mercato del lavoro con salari bassi e precarietà che impediscono di programmare il futuro. Negli ultimi trent’anni le politiche economiche hanno puntato sulla concorrenza al ribasso per attrarre capitali di facoltosi Paperoni, in cambio di una “mancetta”. Parallelamente, il sistema fiscale è stato ritoccato a favore dei più ricchi, mentre il ceto medio è rimasto schiacciato da imposte e premi di cassa malati sempre più onerosi.

In questo contesto, il welfare non è il problema ma la rete che impedisce a famiglie e persone vulnerabili di scivolare nella povertà assoluta. Parlare di “paradosso” significa distogliere lo sguardo dalle vere cause dell’aumento della spesa sociale: disuguaglianze crescenti, stagnazione salariale e precarizzazione.

Se davvero si vuole ridurre questa voce di spesa, la strada è un’altra: salari minimi più alti, incentivi al lavoro stabile con contratti a tempo indeterminato e percentuale fissa, abolizione dei contratti a chiamata, una fiscalità più giusta che redistribuisca la ricchezza invece di premiare speculazioni e imprese a basso valore aggiunto. Senza affrontare questi nodi strutturali, ogni “riforma del welfare” rischia solo di colpire chi già oggi fatica ad arrivare a fine mese.

Articolo di Marco D’Erchie, La Regione il 10 ottobre

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