La sfida della spesa pubblica

L’interessante approfondimento pubblicato su laRegione dagli economisti Spartaco Greppi e Christian Marazzi ‘Realtà e retorica del debito pubblico’ sta suscitando reazioni da parte di coloro che della riduzione della spesa pubblica fanno un dogma. Non nego la necessità di affrontare la difficile situazione finanziaria del Cantone anche rivedendo alcuni compiti che oggi lo Stato si assume. Tuttavia, non tutte le voci di spesa hanno lo stesso impatto su cittadine e cittadini. Alcuni tagli di spesa pubblica scaricherebbero ulteriori oneri su chi già oggi non è in grado di sostenerli.

Se si vuole puntare all’interesse collettivo e al bene comune è indispensabile agire in maniera equilibrata sia sulle entrate che sulle uscite, partendo dalla valutazione dei bisogni specifici del nostro Cantone e della sua popolazione. Il Ticino presenta un reddito mediano inferiore alla media nazionale, un tasso di povertà tra i più alti e un potere d’acquisto della classe media e medio-bassa eroso dall’aumento dei costi fissi, in particolare dai premi di cassa malati e dalle spese sanitarie. Affrontare questa difficile situazione implica una riflessione sulle priorità politiche, a partire dal rafforzamento di politiche sociali ed educative, in grado di rispondere alle crescenti necessità e di diminuire le disuguaglianze tra chi ha tanto e chi ha poco. È dunque corretto chiedersi, come fanno Greppi e Marazzi, quale quota d’indebitamento sia sopportabile per evitare una crisi sociale, diminuire le disuguaglianze, così come per portare avanti delle politiche di investimento nell’educazione e nella formazione, innegabili motori di sviluppo a lungo termine.

L’investimento nella “pedagogia speciale”, che il consigliere agli Stati Fabio Regazzi critica quale esempio di aumento di spesa che porta a “vivere sulle spalle dei propri figli”, è in realtà l’opposto: un buon esempio di politica anticiclica e lungimirante che investe oggi per permettere ai nostri figli di camminare sulle proprie gambe domani, fornendo pari opportunità a tutte e tutti: bambine, bambini e giovani, inclusi coloro che hanno disabilità o bisogni educativi particolari. Senza un adeguato investimento pubblico a sostegno di chi si trova nel bisogno, incluse anche le imprese nei momenti di difficoltà – si pensi alla pandemia, come pure ai numerosi mandati pubblici di cui beneficia anche l’economia privata –, le singole cittadine e i singoli cittadini sarebbero lasciati a sé stessi.

Certo, le persone più benestanti se la caverebbero comunque. Ma la maggior parte della popolazione si troverebbe costretta a dipendere da misure assistenziali, indebitarsi privatamente o, peggio, a rinunciare a servizi di primaria importanza per sé e per i propri figli, perpetuando e accentuando così le disuguaglianze, senza permettere alle nuove generazioni di sviluppare il proprio potenziale. Questo, per me, è ben peggio dell’indebitamento pubblico. Come sottolinea Regazzi nel suo articolo, non possiamo scaricare i debiti sulle generazioni future. Giusto, ma questo concetto va ampliato, includendo oltre ai debiti economici dello Stato anche quelli sociali. Investire oggi in politiche inclusive e sostenibili non solo aiuta a evitare costi maggiori domani, ma contribuisce a costruire una società più equa e resiliente sul lungo termine. Un futuro in cui le prossime generazioni possano non solo sopravvivere, ma anche prosperare.

Articolo di Marina Carobbio apparso su La Regione il 29 aprile

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