È risaputo che in Svizzera, forse più che altrove, parlare apertamente di quanto si guadagna è un vero e proprio tabù. Questa opacità è molto presente anche in politica. Se in molte democrazie europee (Francia, Germania, Italia, Spagna ecc.) è considerato non solo un dovere morale, ma anche un obbligo legale che i parlamentari eletti debbano dichiarare pubblicamente i propri redditi e il patrimonio, in Svizzera ciò non è ancora il caso. Negli ultimi due decenni si è fatto qualche timido passo in avanti: nel parlamento federale, così come in tanti parlamenti cantonali, gli eletti sono tenuti a dichiarare le ‘relazioni d’interesse’. Non sappiamo quanto ci guadagnano, ma sappiamo se si tratta di un’attività remunerata o no. Ebbene, mi chiedo e vi chiedo come mai nessuno – che io sappia – ha tematizzato questo aspetto nelle discussioni circa la difficoltà di trovare persone disposte a candidarsi al Consiglio federale in seguito alle dimissioni di Viola Amherd. Tutti siamo rimasti molto sorpresi quando Gerhard Pfister ha detto di no.
Sono state ipotizzate varie ragioni possibili. Lui ha semplicemente dichiarato che “non sarebbe un consigliere federale felice” e che “apprezza la libertà”. I media hanno poi ipotizzato che non lo attirava il Dipartimento della difesa, o che avrebbe ricevuto poco sostegno dal suo gruppo parlamentare.
E se parte della motivazione fosse semplicemente che è altamente probabile che attualmente guadagni più di un consigliere federale? Sia ben chiaro: ritengo che sia una riflessione assolutamente legittima che un papabile possa e debba fare. Ma mi colpisce il fatto che nessuno ne parli. Sul sito del Parlamento scopriamo infatti che Pfister è membro di 15 organi diversi, di cui ben dieci remunerati. Fra questi, risulta che è presidente della Federazione svizzera dei casinò (Fsc), dell’Associazione dell’industria svizzera del cemento (Cemsuisse) e dell’Associazione delle scuole private svizzere, nonché di una ditta di consulenza in materia di politica, educazione e investimenti immobiliari. Nei rapporti annuali di queste ditte e associazioni non ho trovato le informazioni relative alla remunerazione degli organi direttivi. In un articolo d’inchiesta del Tages-Anzeiger del 20.8.2021 leggiamo che “con 100’000 franchi all’anno, Pfister non solo riceve lo stipendio presidenziale più alto di tutti i partiti; egli è anche membro di un numero significativamente maggiore di comitati e di Consigli di amministrazione rispetto agli altri presidenti di partito”. Alla domanda esplicita del giornalista, relativa ai compensi percepiti per i due mandati probabilmente più lucrativi (Fsc e Cemsuissee), Pfister non ha voluto rispondere. Quello che sappiamo è che, oltre ai vari mandati e alla presidenza del partito (che lascerà entro l’estate), Pfister guadagna almeno 130’000 franchi per la sua attività in Consiglio nazionale. Conclusione: non è per niente inverosimile che, sommando tutte queste attività, Pfister guadagni quanto un consigliere federale (circa 460’000 franchi all’anno), ossia per un lavoro che è (oso affermare) assai più stressante e impegnativo.
Se la sua decisione di non candidarsi fosse stata influenzata anche da questi calcoli, sarebbe del tutto legittimo. Così com’è legittimo per noi parlarne. Ma lo stesso vale per gli altri papabili che hanno rinunciato a candidarsi. Benedikt Würth, consigliere agli Stati sangallese, è membro di dieci Consigli d’amministrazione remunerati e di altri sette organi ‘pro bono’. Andrea Gmür, consigliera agli Stati lucernese, è membro di sedici organi vari, di cui quattro a scopo di lucro. Il grigionese Martin Candinas ne conta diciotto, di cui otto pagati. Philipp Bregy, capogruppo del Centro, ne ha racimolati diciannove, di cui dieci remunerati. Alla domanda del giornalista sul perché non si candida, Bregy ha risposto che “vivrà i primi anni di vita dei suoi figli, di tre e otto anni, una volta sola”.
Articolo di Nenad Stojanovic, politologo pubblicato su laRegione l’11 febbraio